Ucraina, il Pentagono inizia a pensare a chiudere la guerra: nonostante miliardi in armamenti il burattino non ha guadagnato nemmeno mezzo metro. Si prospetta una soluzione ‘alla coreana’

Allarme rosso a Washington: la controffensiva ucraina arranca e potrebbe spegnersi entro un mese – l’assalto alla Crimea verrebbe rinviato alla tarda primavera del 2024, permettendo al Cremlino di mobilitare altre truppe – se Mariupol e Melitopol non vengono liberate entro metà settembre, il Cremlino avrà molti mesi per cercare di incrinare la compattezza degli alleati.

“Repubblica”: “si ricomincia a parlare di un armistizio sul modello coreano che congeli la linea sul fronte. Una prospettiva inaccettabile a Kiev come a Varsavia. L’incubo americano resta quello di provocazioni che allarghino il conflitto. Ma questo rischio diventa concreto…”

Estratto dell’articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica”

[…] Anche la seconda ondata della controffensiva ucraina sembra avere rallentato la spinta iniziale. Dopo quasi due mesi di combattimenti, le colonne d’assalto sono arrivate alla cinta fortificata russa, saggiando la profondità dei fossati anti-tank e la robustezza dei “denti di drago” in cemento piantati nel suolo. Adesso dispongono di carri gettaponte per superare gli ostacoli e di veicoli speciali per creare un varco nei campi minati.

E i rifornimenti arrivati dagli Usa permettono di sparare 8mila proiettili di artiglieria al giorno, quasi tutti con testate “cluster” che seminano ordigni nelle trincee. Senza però che le brigate di Kiev siano finora riuscite a sfondare le difese.

Questi risultati provocano una crescente preoccupazione, in Ucraina e tra gli alleati: c’è il timore che l’avanzata non sia in grado di scacciare i russi dai territori occupati entro l’autunno, creando una situazione molto complessa non solo dal punto di vista militare ma anche da quello politico e diplomatico. Alla base di questo ragionamento c’è la valutazione delle forze disponibili.

Nella scorsa primavera i generali di Kiev hanno organizzato due corpi d’armata, il Nono e il Decimo, in vista della controffensiva. Il Nono, addestrato dalla Nato e dotato di mezzi occidentali, è partito all’attacco il 6 giugno per individuare i punti deboli della linea russa. La sua missione era aprire una breccia, attraverso la quale il Decimo si sarebbe gettato alla carica fino a Melitopol e Mariupol, sgretolando lo schieramento di Putin.

Gli ucraini però hanno conquistato pochi chilometri e dopo sette settimane di dura battaglia hanno dovuto ritirare il Nono Corpo, logorato dalle perdite e dallo stress, sostituendolo con il Decimo. Che non ha riserve alle spalle: se riuscisse a spezzare la resistenza russa, dovrebbe completare da solo la marcia verso il mare d’Azov. […]

[…] il generale Gerasimov, […] non ha sbagliato una mossa. Risponde a ogni affondo ucraino con determinazione e scatena azioni aggressive in altre zone – a Kharkiv, nel Donetsk e soprattutto nel Lugansk – impedendo al quartier generale di Kiev di sguarnire il resto del fronte. Neppure i missili Storm Shadow piovuti contro le basi nelle retrovie e contro i ponti strategici sembrano avere incrinato il muro di Mosca.

Il governo di Zelensky è convinto che la pressione riuscirà nelle prossime settimane a causare una crisi nella fortezza russa. Al momento però non ci sono segnali di un successo rapido e la prospettiva che la controffensiva si spenga entro un mese appare sempre più reale. Uno scenario disastroso: il balzo verso la Crimea verrebbe rinviato alla tarda primavera del 2024, permettendo al Cremlino di irrobustire ulteriormente le barriere e mobilitare altre truppe.

I droni che si abbattono su Mosca e sulle altre città causano danni simbolici e servono a tenere alto il morale ucraino. Ma possono anche innescare una rappresaglia di Putin […],

[…]l’ipotesi di uno stallo preoccupa sia Zelensky sia i Paesi baltici della Nato, a partire dalla Polonia: se Mariupol e Melitopol non vengono liberate entro metà settembre, il Cremlino avrà molti mesi per cercare di incrinare la compattezza degli Alleati facendo leva anche sulle elezioni statunitensi.

Tanto che nelle diplomazie si ricomincia a parlare di un armistizio sul modello coreano che congeli la linea sul fronte. Una prospettiva inaccettabile a Kiev come a Varsavia. Allo stesso tempo la Casa Bianca prende le distanze dai lanci di droni contro Mosca e ridimensiona gli allarmi polacchi sulla Wagner in Bielorussia: l’incubo americano resta quello di provocazioni che inneschino l’ allargamento del conflitto. E più le colonne ucraine rimangono lontane dalla Crimea, più questo rischio diventa concreto.

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