Quando il ladro si sbaglia e ruba l’auto di un boss di Palermo in sole due ore viene individuato e sottoposto ad un particolare rito di scuse

Avevano rubato l’auto della moglie del boss Micalizzi di Palermo nel quartiere Zen. Dopo due ore, il capomafia li aveva rintracciati e fatti pestare a sangue prima di costringerli a riconsegnare la macchina: 11 arresti nel clan.

L’8 settembre del 2021 avevano rapinato la moglie del boss Michele Micalizzi, sottraendole l’auto allo Zen di Palermo dopo averla intimorita. La donna aveva riferito tutto al capomafia, che in due ore era riuscito a scoprire gli autori del colpo e a punirli severamente. Per il gip di Palermo, quella era stata la dimostrazione plateale del “potere criminale” del mafioso, che aveva ordinato il pestaggio a sangue dei due rapinatori per “onorare il nome del clan”,

L’inchiesta della Dda di Palermo su quanto avvenuto aveva portato a 11 arresti: tra questi, anche il boss Micalizzi e il figlio. Stando a quanto reso noto, i rapinatori erano stati pestati a sangue dal clan e costretti a riconsegnare personalmente l’automobile rubata alla moglie del capomafia.

Il figlio di Micalizzi, Giuseppe, insieme a un altro complice, avrebbe riferito al padre di aver dato una “bella lezione” ai due ladri una volta riconsegnata la vettura.

“Tu mi devi dire grazie – avrebbe detto il figlio del boss in un’intercettazione che ora è nelle mani delle forze dell’ordine – perché sei vivo”. L’uomo avrebbe poi continuato a raccontare quanto fatto al bandito, spiegando di averlo “macinato” e “quasi ammazzato“.

L’intercettazione ha permesso alle forze dell’ordine di ricostruire la rete di minacce e prevaricazioni del boss mafioso, portandole ad arrestare 11 persone che avrebbero permesso al boss di rintracciare e “punire” i banditi che avevano rubato l’auto della moglie del capomafia.

A raccontare l’accaduto alle forze dell’ordine, proprio uno dei due banditi che aveva subìto il pestaggio. Il bandito, pur non avendo voluto parlare con gli agenti subito dopo i fatti, si è deciso poi a testimoniare e a dare il via all’indagine che ha portato poi all’arresto delle 11 persone che hanno organizzato e permesso il violento pestaggio.

(ANSA) – L’inchiesta dei carabinieri che ha portato all’arresto di 11 mafiosi palermitani ha anche fatto luce su un tentato omicidio. Il mafioso Carmelo Cusimano cercò di uccidere il fratello Anello a coltellate per dissapori familiari. Per ricomporre i dissidi che avevano portato al delitto intervennero le figure più carismatiche del mandamento.

E’ la stessa vittima, intercettata mentre incontra in carcere il terzo fratello Giuseppe, reggente del clan dello Zen, a raccontare l’aggressione. E il boss detenuto non nasconde la sua rabbia verso il familiare. ” Non ho più un fratello che si chiama Carmelo, appena esco lui sarà il primo”, dice facendo intendere propositi di vendetta.

La vittima continua nel suo racconto dell’aggressione e riferendo le parole del fratello Carmelo dice: “a te appettavo” e con le mani indica la lunghezza del coltello. Lo stesso autore del gesto, intercettata, ammette tutto: “no, io ci sono andato per ammazzarlo”.

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