“Roba da barbari e selvaggi” Giampiero Mughini e l’attacco sacrosanto alla feccia, scagliatasi contro Filippo Facci per lervagli il prossimo programma in Rai

Tra tanti che lo criticano, c’è anche chi prende le difese di Filippo Facci. Si tratta di Giampiero Mughini che di fronte alle accuse in silenzio non riesce a stare. Com’è noto, la firma di Libero ha sollevato il polverone a sinistra. Il motivo? Una frase sul presunto stupro commesso da Leonardo Apache La Russa, figlio del ben più celebre Ignazio La Russa. “Risulterà – ha scritto Facci in riferimento a quanto la giovane avrebbe dichiarato ai medici – che una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa (una famiglia, una tribù)”.

Apriti cielo. Dai compagni non sono mancati i soliti biasimi. Eppure – ricorda su Dagospia Mughini premettendo che la frase non è felicissima – Filippo non è né ‘un sessista’, né ‘un razzista’, nè un ‘fascista’ per come lo stanno accusando dei tipi che evidentemente non hanno mai letto un suo libro, e forse neppure per intero l’articolo in questione”. Anzi, Mughini se la prende contro chi lo ha insultato: “Mi pare roba da selvaggi o da barbari impiccare qualcuno (sia esso di destra, di sinistra o di centro) a una frase, di ciascuno devi raccontare la storia e la personalità complessiva: a quella devi fare riferimento se vuoi giudicarlo”.

E se la Costituzione “mette sullo stesso piano maschio e femmina”, lo stesso non si può dire della “giurisprudenza che, ultimamente, lo fa un po’ meno”. Mentre le indagini proseguono, il racconto della ragazza è un unico punto interrogativo. Poche le certezze: la giovane dice di aver bevuto due drink all’interno del locale milanese e poi di essersi svegliata “nuda” nel letto del figlio del presidente del Senato. Lei stessa, ai medici, ha ammesso di aver consumato prima ancora di arrivare al locale cocaina, cannabis e psicofarmaci.

Giampiero Mughini per Dagospia

Caro Dago, ti avevo scritto di recente che il più delle volte io preferisco il silenzio quando ci sono di mezzo delle gigantesche risse fondate sul nulla e che per tuttavia occupano pagine di giornali.

Mi sto riferendo alle accuse mosse a Filippo Facci – che un tempo era un mio aguzzo disistimatore e con il quale siamo poi divenuti amici e spesso sodali – che in merito alla faccenda dello stupro di cui viene accusato Leonardo Apache La Russa aveva usato un’espressione non felice nel definire la ragazza accusante “fatta di cocaina prima ancora che fatta” dal ragazzo che lei accusa.

Di certo un’espressione non felicissima, altrettanto certo che Filippo non è né “un sessista”, né “un razzista”, nè un “fascista” per come lo stanno accusando dei tipi che evidentemente non hanno mai letto un suo libro, e forse neppure per intero l’articolo in questione. Mi pare roba da selvaggi o da barbari impiccare qualcuno (sia esso di destra, di sinistra o di centro) a una frase, di ciascuno devi raccontare la storia e la personalità complessiva: a quella devi fare riferimento se vuoi giudicarlo.

Ebbene se fai riferimento alla storia intellettuale di Filippo e ai suoi libri, ti è facile capire che mai e poi mai lui voleva dire che la ragazza se l’era cercata. Perché di questo si tratta.

E’ facilissimo da capire eccezion fatta per quelli che di libri ne leggono uno al mese e quindi non sono abituati a penetrarne il significato. E forse neppure abituati a penetrare il significato di un articolo se letto per intero. Quanto alla valutazione di Facci e di quel suo articolo mi sto sbagliando? Non è che siete obnubilati dall’odio di parte, dall’essere di una parte diversa da quella di Facci e ammesso che lui ne abbia una? Provateci a dimostrarmelo. Sono qui che vi aspetto, col sorriso sulle labbra.

DALLA DROGA AL RISVEGLIO DUE VERSIONE OPPOSTE

[…] Estratto dell’articolo di Filippo Facci dell’8 Luglio per “Libero Quotidiano”

una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa (una famiglia, una tribù) e che perciò ogni racconto di lei sarà reso equivoco dalla polvere presa prima di entrare in discoteca, prima di chiedere all’amica «sono stata drogata?» anche se lo era già di suo.

Il resto è un confronto epocale tra maschio e femmina che la Costituzione mette sullo stesso piano, ma la giurisprudenza, ultimamente, un po’ meno. Restano dettagli off the records, tipo che la denuncia era su un giornale prima ancora di essere nella disponibilità cartacea dell’accusato, e che il racconto di lei, per emblematico che sia, sembra un format da movida milanese: il ricordo, quello vivido, è solo di aver bevuto due drink con un ragazzo e poi di essersi svegliata nel letto di lui l’indomani a mezzogiorno; quella che sta in mezzo è l’auto-ricostruzione mnemonica di una 22enne fondata su «sensazioni», in grado, in ogni caso, di finire sulla prima pagina del più diffuso quotidiano nazionale.

Poi è vero, tra il fatto e la denuncia sono passati quaranta giorni – l’ha fatto notare Ignazio La Russa, nel ruolo di padre – ma per la nostra giurisprudenza significa poco: è lo stesso genere di perplessità, pur istintiva, che aveva avuto Beppe Grillo nello scagliarsi contro l’accusatrice di suo figlio Ciro, la quale aveva denunciato uno stupro dopo più di una settimana, solo una volta tornata a Milano, solo prima di proseguire la vacanza per un’altra settimana; le sentenze italiane però spiegano che uno stupro non implica comportamenti codificati, tipo rinunciare al prendersi un po’ di tempo per decidere se denunciare o no.

LA NORMALITÀ DEL MALE I problemi sono altri. Uno è che, di mezzo, non c’è soltanto la millesima generazione sconosciuta e ultralight, svagata, lontana dai nostri tabù e dal gravoso concetto di «reato»: di mezzo c’è quella normalità del male che sono le droghe da discoteca di oggi – in continua evoluzione – e la scarsa conoscenza che spesso ne hanno giudici, periti e giornalisti; sul Corriere, ieri, c’era un elenco delle «nuove droghe» con una castroneria dietro l’altra: le benzodiazepine per dormire erano definite «droga dello stupro» (ma vale solo per il Rivotril, un antiepilettico, non certo per i diffusissimi Tavor, Xanax, Lexotan, Valium, En) con menzione d’onore per la star mediatica degli ultimi anni, il Ghb, un derivato aminoacidico presente nelle tabelle delle sostanze psicotrope da 22 anni e che è piuttosto difficile che «non faccia ricordare niente fino al giorno dopo» (amnesia anterograda) perché, nel caso, bisogna assumerne una tonnellata e finire in uno stato comatoso che è tipico dei vecchi anestetici.

Nella tabella delle «droghe sintetiche» del Corriere non compare giustamente la cocaina (che non è sintetica) anche se è l’unica droga che di sicuro ha fatto la sua comparsa, visto che la ragazza l’ha assunta prima di entrare in discoteca- come appurato da un esame tossicologico fatto alla clinica Mangiagalli. Ma anche qui bisogna vedere, perché le sostanze da taglio della cocaina – che neppure i medi spacciatori conoscono – possono essere anfetaminiche o anestetiche, quindi avere effetti opposti e reattività diverse all’alcol, che pure, il Corriere, spiegava essere «la sostanza più spesso effettivamente correlata a casi di violenza sessuale».

Dunque a seconda del tipo di cocaina – stiamo parlando di schifezze illegali, ricordiamolo – si avrà una reattività diversa con eventuali «droghe dello stupro», che pure, per ora, sono esistite soltanto nelle ricostruzioni mnemoniche fatte dalla ragazza: «Raccontami di ieri, sono stata drogata?» chiede lei all’amica, una volta svegliatasi nel letto di Apache La Russa, «penso ti abbia drogata», risponde l’amica. Ma l’unica certezza sarebbe stata questa: «Ti era drogata da sola, anzitutto».

LE DIVERGENZE Il resto fa parte di una proiezione che non possiamo sapere quanto vera e quanto fantasticata: «Non mi ascoltavi, poi sei corsa via», le ha riferito ancora l’amica, «stavi benissimo fino a prima che ti portò il drink», le ha riferito ancora l’amica, prima di vederla baciare Leonardo La Russa in discoteca, altra certezza. Sappiamo che il giorno dopo lei fu «spaventata» e «presa dalla vergogna», e che, a suo dire, nel salutarla, Leonardo la «baciò contro la mia volontà», però lei non disse nulla «per paura».

Il racconto di lui è più banale: lei venne spontaneamente a casa di lui, passarono la notte assieme e, a mezzogiorno del giorno dopo, si salutarono senza problemi.

La banalità del bene. È pieno di vecchi film dove lui o lei si svegliano in letti sconosciuti, ricordando a malapena il proprio nome ma non che cosa abbiano fatto e con chi:nei vecchi film c’era sempre di mezzo una sbronza, e la verità la sapeva soltanto lo spettatore. Oggi invece si parla di Ghb, e la sgradevole sensazione è che la verità possa essere drogata e stuprata dalla politica

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