La maledizione di Putin colpisce ancora: dopo la Spagna cade il governo anche in Olanda. L’indegno Rutte finalmente va a casa

La questione migratoria travolge uno dei primi ministri più longevi d’Europa, Mark Rutte.

Il quarto esecutivo guidato dal leader del Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd) è infatti caduto dopo un estenuante e inconcludente negoziato sulle nuove misure da mettere in campo sulla migrazione e l’asilo.

Rutte e l’Appello cristiano democratico (Cda) spingevano per una limitazione netta del ricongiungimento familiare per i migranti. L’altra metà dell’alleanza, i liberali del partito D66 e i calvinisti dell’Unione Cristiana, si sono opposti. Nella notte tra giovedì e venerdì è partita l’ultima, cruciale, trattativa.

E alla fine Rutte ha dovuto alzare bandiera bianca. Il primo ministro olandese ha annunciato le dimissioni del suo governo di coalizione, dopo che le divergenze tra i partiti su come limitare l’immigrazione si sono rivelate ‘insormontabili’. La notizia delle dimissioni era già stata anticipata dalla stampa. “Stasera abbiamo purtroppo raggiunto la conclusione che le differenze sono insormontabili. Per questo motivo a breve presenterò le mie dimissioni per iscritto al re a nome di tutto il governo”, ha detto in conferenza stampa.

Il quarto esecutivo guidato dal Ministro-presidente (questo il nome ufficiale del capo di governo dei tulipani) aveva avuto un parto travagliatissimo.

Il partito Vvd, nel marzo del 2021 aveva vinto le elezioni senza però ottenere la maggioranza per governare da sola, cosa che in Olanda è praticamente sempre accaduta. Questa volta, tuttavia, i negoziati per la formazione dell’esecutivo erano stati più difficili. Dopo ben 271 giorni di trattative, nel gennaio del 2022, il governo Rutte IV vedeva la luce con la sponda decisiva dei liberali di D66, che ottenevano il cruciale ministero delle Finanze, assegnato a Sigrid Kaag. Di lì in poi il governo olandese ha comunque navigato in acque agitate. Fino al primo, vero campanello d’allarme: le elezioni locali stravinte nella scorsa primavera dal neonato partito degli agricoltori (Bbb), formazione dalla verve populista e, soprattutto, contraria alle politiche ambientali che hanno proprio in un olandese, il vice presidente della Commissione Ue Frans Timmermans, il massimo esponente. A far deflagrare esecutivo di L’Aia, tuttavia, è stato il dossier migranti e la questione del ricongiungimento familiare. Un ultimo tentativo di mediazione era stato messo sul tavolo dal segretario di Stato Eric Van der Burg, che prevedeva lo stop temporaneo ai ricongiungimenti familiari in caso di eccessivo aumento di flussi i migratori. Per i liberali e, soprattutto, per l’Unione Cristiana, la misura restava eccessivamente severa. La trincea calvinista non è caduta. A cadere, come annunciato in serata dai media locali, è stato il governo. In Europa la fine dell’esecutivo Rutte è destinata a sferrare un altro colpo all’asse centrista che finora ha fatto da architrave alle scelte di Bruxelles.

Il suo partito è membro dei liberali di Renew ed è al governo dall’ottobre del 2010. Assieme all’ungherese Viktor Orban (la cui carica da primo ministro è più ‘vecchia’ di pochi mesi), Rutte è il capo di governo che continuativamente è stato al suo posto per più tempo in Europa. Secondo i media locali è ora molto probabile che si torni alle elezioni ad ottobre. E mentre la destra festeggia – “Adieu Rutte”, ha scritto su twitter il leader del Pvv Geert Wilders – resta tutta da decifrare la strategia di Rutte. Per l’ex aspirante pianista prestato alla politica, tuttavia, la sfida di tornare al governo per la quinta volta potrebbe essere quella più difficile.

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