“Il Pd di Schlein sulla scia del Festival di Sanremo o di Mare Fuori” Shclein e l’intera feccia di sinistra fatti a pezzi da Fausto Bertinotti

L’ex segretario di Rc non fa sconti: “Il successo della segretaria è più significativo per le domande che poneva che per le risposte”. E poi aggiunge: “Io penso che il centrosinistra sia finito e che non sia stata la risposta alla crisi italiana, ma sia stata proprio la sua crisi”

tratto da HuffPost

In un’intervista al Giornale, Fausto Bertinotti, leader storico di Rifondazione Comunista esprime il suo punto di vista sulla nuova segretaria del Pd Elly Schlein, donna, afferma, appartenente a “una sinistra totalmente diversa” dalla sua. “È una figura che proveniva dall’esterno del partito, che ha un profilo vicino ai liberal americani e assai distante da quello dei leader del movimento operaio della sinistra italiana”, sottolinea Bertinotti, che continua precisando: “Il Partito Democratico non è la continuità del Partito Comunista, ma è una costruzione che avviene fuori da quella storia. Dire che ci vorrebbe la lotta di classe è improprio. Certo, che ci vorrebbe. Ma non può essere chiesto al Pd che ha un impianto diverso da questo. Il successo della Schlein è più significativo per le domande che poneva che per le risposte. È un qualcosa che si è manifestato con i movimenti giovanili, con il Festival di Sanremo o con Mare Fuori”.

Per l’ex politico e sindacalista italiano i partiti di opposizione Pd e M5S “sono lontanissimi da costituire una rivitalizzazione della politica, piuttosto sono espressione di una crisi e non di una risposta, tant’è vero che nel nostro Paese vota un italiano su due”. Questi partiti, per giunta, non possono neanche definirsi propriamente come populisti dal momento che, prosegue Bertinotti, “Il populismo è lo scontro tra il basso e l’alto, tra il popolo e le élite. Francamente, in Italia, non vi è traccia di un conflitto sociale come quello che si è visto in Francia con le proteste contro la riforma delle pensioni”. Quindi anche se il partito di Schlein cambiasse il suo nome, come annunciato negli ultimi giorni da alcuni esponenti dem, nulla cambierebbe nella sua essenza: “Come dicevano i latini, sono consequentia rerum, ma quando lo sono davvero. Non ci si può inventare partito del lavoro senza un’idea di conflitto tra capitale e lavoro. Mélenchon ha un’idea di lavoro e di stile di vita”.

Infine Bertinotti lancia l’affondo: “Io penso che il centrosinistra sia finito e che non sia stata la risposta alla crisi italiana, ma sia stata proprio la sua crisi. Nel centrosinistra sono stati incorporati tutti gli elementi che ne hanno prodotto la crisi: il primato delle alleanze sui contenuti, un’idea politicista del conflitto tra destra e sinistra, l’adesione alla centralità del governo e la trasformazione della lotta politica in una competizione elettorale fatta per vincere, la mancata scelta di connessione con i grandi movimenti come quello No Global e il progressivo abbandono della lotta di classe.

Il centrosinistra non è, per le forze d’opposizione, la terra del ritorno. L’opposizione a un governo di destra-destra va ricostruita su un terreno molto più radicale. Penso che vi sia una scarsità più che un eccesso di opposizione”.

Il leader storico traccia, da ultimo, possibili traiettorie future per la sinistra italiana: “Dopo la grande sconfitta bisognerebbe pensare a due sinistre, proprio come nella tradizione del grande movimento operaio europeo: una sinistra riformista e una rivoluzionaria. Io lavorerei a una sinistra più simile alla France insoumise di Mélenchon, mentre la Schlein guarda legittimamente alla sinistra liberal americana sia sul terreno dei diritti sia su una linea di conciliazione tra capitale e lavoro. Una forza politica anti-capitalistica, invece, ancora non esiste ed è un capitolo a parte che non è né contiguo né assimilabile alle altre sinistre. Podemos e France insoumise hanno fatto un discorso diverso e non hanno cercato preliminarmente una qualche alleanza politica”.

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