“Accelera tumori e metastasi” Un studio pubblicato dalla prestigiosa rivista International Journal of Biological Macromolecules conferma i danni che stanno provocando i sieri che la feccia ha imposto a milioni di persone in Italia

di Roberto Demaio per L’Indipendente

Da una parte c’era l’emergenza Covid, l’esigenza di produrre rapidamente farmaci capaci di prevenire il ricovero e la necessità di inserire una sostanza che proteggesse l’RNA messaggero rendendolo riconoscibile per il nostro organismo. Dall’altra, il fatto che aggiungere tale sostanza potrebbe sopprimere alcune risposte immunitarie e potenzialmente «stimolare la crescita e la metastasi» di alcuni tipi di cancro già presenti nel ricevente, oltre al fatto che «prove crescenti» indicano che tali prodotti non inducono «un’immunità sterilizzante» lasciando le persone «vulnerabili ad infezioni ricorrenti»: è quanto emerge da una nuova analisi della letteratura già sottoposta a revisione paritaria che verrà inserita nel primo volume di maggio dell’International Journal of Biological Macromolecules. Secondo gli autori, una sostanza utilizzata all’interno dei vaccini ad mRNA – tra cui anche in quelli anti-Covid – potrebbe predisporre alcuni pazienti alla progressione del cancro e persino portare a scenari dove i rischi superano i benefici. Per questo, secondo i ricercatori, sarebbe «urgente condurre ulteriori ricerche sperimentali» ed evitare «studi clinici che utilizzino vaccini modificati al 100%» con tale sostanza.

La sostanza in questione si chiama N1-meti-pseudouridina (m1Ψ), ovvero un composto capace di impedire che l’organismo lo identifichi come “esterno” e che lo degradi attraverso gli enzimi. Come descritto dai ricercatori infatti, la pseudouridina a è un’alterazione dell’RNA ampiamente conosciuta che può essere utilizzata per sostituire l’uridina – il nucleoside dell’uracile che costituisce uno dei “tasselli” che compongono l’RNA – evitando la degradazione della nucleasi e inducendo un’immunogenicità naturale paragonabile a quella a quella sperimentata durante l’infezione. È stato infatti dimostrato che utilizzare m1Ψ «aumenta la stabilità dell’RNA», lo aiuta ad «evitare le risposte immunitarie innate» e migliora inoltre l’efficienza traslazionale riducendo «la citotossicità dell’mRNA modificato somministrato per via intramuscolare o attraverso la pelle».

Tuttavia, secondo l’analisi – la quale attualmente è disponibile solamente in preview online ma che la redazione de L’Indipendente ha potuto leggere e analizzare in forma completa – evitare il rilevamento immunitario dell’mRNA aggiungendo la pseudouridina «potrebbe indurre una soppressione immunitaria che potrebbe favorire la riattivazione di infezioni batteriche, virali o fungine quiescienti», oltre che a «consentire la moltiplicazione sfrenata delle cellule tumorali». «Gli ideatori dei vaccini a mRNA contro SARS-CoV-2 hanno enfatizzato solo gli aspetti positivi legati all’aggiunta di m1Ψ», aggiungono gli autori, spiegando che i vaccini modificati con pseudouridina hanno suscitato un’attivazione di citochine prodotte da cellule dendritiche inferiore rispetto ai prodotti non modificati con tale composto. In particolare, è stato rilevato che maggiore era la percentuale di modifica con m1Ψ, minore era la produzione di alcune classi di interferoni di tipo I (IFN-I), ovvero una particolare classe di proteine con funzioni immunitarie e regolatorie. Inoltre, secondo l’analisi esistono ricerche che forniscono «prove indirette che dimostrano che i vaccini con l’mRNA modificato compromettono la sintesi di IFN-I e influenzano negativamente la sopravvivenza nel modello» di un particolare tipo di melanoma.

Per quanto riguarda nello specifico i vaccini anti-Covid invece, anche se l’assunzione di tali prodotti ha indotto «immunità cellulare e umorale» contro il virus, in alcuni casi questa «è diminuita» a sei mesi riducendo al contempo alcuni livelli di interferoni di tipo I, «promuovendo così la crescita e le metastasi del cancro». I prodotti modificati con m1Ψ poi, risulterebbero «un’arma a doppio taglio» perché, mentre prevengono la degradazione dell’mRNA e la sintesi della proteina spike, pongono una «sfida maggiore» al il sistema immunitario nel preparare «un’adeguata azione antitumorale». Infine, a tutto questo va inoltre aggiunto il fatto che la traduzione dell’mRNA potrebbe risultare imperfetta e portare alla sintesi di proteine diverse dalla spike, la quale in tutti i casi potrebbe essere prodotta per un tempo più lungo rispetto a quanto previsto (fino a 187 giorni).

Gli autori hanno concluso evidenziando che in alcune ricerche è stato riscontrato che l’aggiunta della pseudoridina al 100% «ha stimolato la crescita e la metastasi del cancro», fenomeno quindi tutt’altro che impossibile e che porta all’esigenza di effettuare «ulteriori ricerche sperimentali per confermare questi risultati in altri modelli di cancro» rispetto a quelli già osservati. Inoltre, i ricercatori hanno scritto che, «fino a quando non sarà dimostrato che i vaccini mRNA non promuovono lo sviluppo del cancro, non dovrebbero essere condotti studi clinici che utilizzino vaccini mRNA modificati al 100% con m1Ψ», ovvero modificati in maniera simile ai vaccini anti-Covid. Infine, le inoculazioni dopo la terza dose risultano caratterizzate da un «rischio che supera i benefici, soprattutto per gli anziani e i soggetti immunocompromessi, per cui le autorità sanitarie dovrebbero rivalutare la reale utilità di continuare a somministrare richiami».

L’Indipendente ha chiesto inoltre un commento a Giovanni Frajese – endocrinologo e professore presso l’Università del Foro Italico di Roma – il quale ha letto integralmente il documento e ha dichiarato: «Si tratta di una ricerca molto importante che ci mostra quanto poco siano stati studiati questi prodotti. Viene trattato in particolare l’uso della pseudouridina che, nonostante abbia fruttato il premio Nobel a coloro che l’hanno trattata, dall’altra crea problemi che solo adesso si iniziano a comprendere, tra cui la persistenza della spike nell’organismo e la perdita di efficacia dell’interferone, fondamentale per le patologie tumorali. Tutto ciò mi ricorda quando 3 anni fa al Senato lanciai l’allarme sull’assenza di test su genotossicità e cancerogenicità e adesso si vede che esistono delle possibili interazioni. Nell’articolo c’è inoltre la richiesta di non usare basi modificate al 100% in futuro come invece è stato fatto per quelli che sono stati inoculati fino ad adesso. Si rimane sbigottiti sia davanti a questa raccomandazione, sia al fatto di non menzionare chiaramente e direttamente che questa sostanza è stata iniettata a miliardi di persone. Emerge un quadro che fa stare tutt’altro che tranquilli».

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