Regionali Sardegna, Giorgia Meloni per la prima volta se la fa sotto per davvero! L’ultimo sondaggio le ha tolto il sonno: la candidata di Conte e Schlein sarebbe in vantaggio nonostante il terzo candidato pesca voti solo a sinistra

DAGOREPORT di Dagospia.com

L’ipotesi che le regionali in Sardegna, primo evento elettorale del 2024, a un anno e mezzo dalla conquista di Palazzo Chigi, si trasformino nella prima sconfitta del governo Ducioni, sta mettendo in subbuglio i fragili otoliti di “Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo”.

Tutta colpa di questo disgraziato sito che domenica ha raccolto spifferi e voci su alcuni sondaggi riservatissimi a 7 giorni dal voto che danno Alessandra Todde, candidata di Schlein+Conte, in lieve vantaggio rispetto al meloniano Paolo “Trux” Truzzu.

Tutto può succedere, visto anche l’alto tasso di astensione (50%) e la rabbia crescente di Salvini che ha subito la decapitazione del suo candidato Christian Solinas, da parte tenera Meloni. Quizzone: gli elettori del Partito Sardo d’Azione, di cui Solinas è l’espressione apicale, domenica e lunedì voteranno il fratellino d’Italia Truzzu? Ah, saperlo…

Nel comizio finale sul palco di Cagliari, la fragilità della tenuta psicofisica della 47enne Giorgia è venuta in superficie quando ha inalberato quell’espressione di chi non ha ancora preso a schiaffi qualcuno, ben conosciuta a Roma come “Che cazzo ciai da guarda’?”. “La grande paura sarda”, ha ben titolato ieri “Il Foglio” l’articolo di Simone Canettieri che ha squadernato una Melona coatta che sarebbe stata perfetta per affiancare la verdoniana Jessica di “Viaggi di nozze”.

Alcune coattate lanciate dal palco di Cagliari. “L’antifascismo. Ammazza che programma”. Avanti: “Il governo sta per cadere, dicono i giornali e la sinistra. Poi si svegliano la mattina tutti sudati!”. Ancora: “Todde è l’esperimento del campo largo? Ma che è? Un campo di calcio?”. Finale: “La sinistra e le lobby puntavano sullo spread perché volevano l’inciucione”. Ecco: più che Dante e Tolkien, i fondatori del pensiero di destra sono Alvaro Pierino Vitali, Bombolo e Tomas Milian imparruccato da Monnezza.

“La grande paura sarda”, a pochi mesi dal terribile voto europeo, sta agitando i fragili otoliti della Ducetta. È probabilmente per questo stato neurologico di insicurezza che la premier della Garbatella viene scortata costantemente dalle due “badanti di Palazzo Chigi”, alias il baldo Giovanbattista Fazzolari e la vispa Patrizia Scurti – la Meloni è l’unica leader al mondo che si presenta ai vertici internazionale caffiancata dalla segretaria Scurti.

Del resto, se domenica prossima tali rilevazioni diventassero voti e il centrodestra perdesse la regione Sardegna, di certo l’alleato (si fa per dire) Salvini stapperebbe una cassa di champagne per la felicità di vedere una Melona sconfitta, con il ghigno a mezz’asta e con il mattarello tra le gambe, dopo aver ingoiato in questo anno e mezzo di governo rospi più grossi di un porceddu.

Mentre una eventuale vittoria della Todde per il fatidico “campolargo” sarebbe lo squillo di tromba per finirla una volta per tutte con il maso-tafazzismo egolatrico, e il sogno di una alleanza Pd-M5S potrebbe diventare realtà nazionale.

Perdere con il fortemente voluto e imposto candidato Truzzu, non sarebbe la fine per “L’uomo dell’anno” (copy Mario Sechi). Ma la Ducetta teme molto il modo in cui i media potrebbero raccontare la disfatta della sua leadership. Da sempre sensibile agli umori della “ggente”, la Sora Giorgia non vuole offrire il fianco a una narrazione sconfittista, che la dipinga in difficoltà o che ipotizzi una parabola discendente, alla Renzi e Conte.

Se poi il suo sguardo si sposta in avanti di qualche mese, non vede le spiagge delle Maldive ma montagne da scalare. A partire dalla questione europea.

È infatti svanito il piano di destrutturare la tradizionale alleanza tra popolari, liberali  e socialisti al parlamento europeo,  sostituendo i socialisti con un nuovo perimetro di destra, con al centro l’eurogruppo dei Conservatori, di cui la Meloni è presidente.

I sondaggi parlano chiaro: Ursula von der Leyen, ricandidata dal Ppe, avrebbe già i voti per essere riconfermata alla guida della commissione. Una maggioranza che potrebbe serenamente fare a meno dei voti  della Ducetta.

La prospettiva dell’irrilevanza politica a Bruxelles incupisce la premier, che ha già mostrato di tenere molto a una immagine riflessiva e pacata in politica internazionale, ben contrapposta all’approccio molossoide che ha in Italia, ispirato dal “samurai” Fazzolari.

A dimostrazione della sua doppia faccia da “camaleonte” (come l’ha definita il sito Politico), pare che in occasione del passaggio di consegne della guida del G7 dal Giappone, la Meloni si sia messa in contatto con Justin Trudeau, lasciandolo a bocca aperta: il leader canadese, che s’aspettava un pitbull sovranista, si è trovato dall’altra parte del telefono un peluche pacato e disponibile.

Per non restare fuori dalla partita che conta, cioè avere un potere negoziale in Europa, il consigliere principe della premier, Bruno Vespa la incoraggia a sostenere la rielezione della cofana bionda tedesca, comunque vada il voto.

“Bru-neo”, a dire il vero, fin dall’arrivo della regina della Garbatella a Palazzo Chigi, ha caldeggiato un filo diretto tra il Governo italiano e la Commissione. Di qui i continui contatti, gli incontri, i viaggi di Giorgia e Ursula.

E ora, il giornalista della Porta accanto  invita Giorgia Meloni a evitare giochetti o ripicche: meglio dare subito un appoggio incondizionato a Ursula, indipendentemente dai rapporti di forza, pur di avere una chance di portare a casa un commissario di peso per l’Italia nel prossimo esecutivo Ue.

Quizzone. Come verrebbe accolta la mano tesa della Melona a Ursula da parte dei suoi euroalleati nel gruppo dei Conservatori?

Il francese Zemmour, da poco entrato in Ecr con il suo partito, Reconquete!, sta riconsiderando la sua strategia ultrà. Dopo aver notato gli ottimi risultati che sta ottenendo Marine Le Pen in versione neo-moderata, anche l’ex giornalista, caro a Bolloré, potrebbe pian piano avvicinarsi al centro e dare il suo nulla osta a Ursula.

Anche quel figlio di Putin dell’ungherese Viktor Orban, che potrebbe entrare in Ecr dopo il voto di giugno, non rappresenta un’incognita, visto che è già stato addomesticato dagli europoteri in occasione del voto sugli aiuti all’Ucraina. Il satrapo di Budapest aveva provato a minacciare il veto, e da Bruxelles gli hanno risposto, in estrema sintesi: o ti adegui, o ti scassiamo l’economia tagliando i fondi.

Spostando lo sguardo ancora più in la, i sudori freddi di Giorgia Meloni aumentano al pensiero che dovrà mettere mano alla legge di Bilancio 2025 che sarà una Via Crucis di lacrime e sangue, dato le dure norme previste dal nuovo Patto di stabilità, che obbligano a ridurre il nostro mostruoso debito pubblico. Amorale della fava: dopo il 9 giugno, il pediluvio…

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