Processo Salvini, Ricard Gere coniglio mannaro: scappa dal processo ma si presta all’ennesima stucchevole intervista per decantare le lodi di quei clandestini che tanto servono alla feccia di Davos a creare caos e violenza in casa nostra

Nel giorno in cui Matteo Salvini viene ascoltato a Palermo nel processo Open arms, l’attore Richard Gere racconta a “Il Cavallo e la Torre” su Rai3 cosa lo portò a bordo dell’ong catalana bloccata a largo di Lampedusa nell’agosto 2019: «Mi trovavo in Italia in visita da amici – spiega – e avevo saputo di una legge crudele, una legge che rendeva reato salvare le persone in mare. Avevo sentito della nave che non poteva entrare a Lampedusa. Per me era incredibile, soprattutto in Italia, un Paese così generoso».
L’Open arms, nell’agosto 2019, rimase diciannove giorni a largo di Lampedusa in attesa di un porto sicuro, dopo aver salvato 147 persone in tre diversi interventi. Per aver impedito lo sbarco, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini è imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Il 9 agosto, Gere salì a bordo della nave portando ai migranti acqua, viveri e beni di prima necessità.
«Ho incontrato volontari provenienti da tutto il mondo che distribuivano cibo e acqua, c’erano esperti che offrivano assistenza psicologica alle persone traumatizzate non solo dal naufragio, ma dall’inferno vissuto in Libia», racconta l’attore, intervistato da Marco Damilano. «Questa non è una questione filosofica. I senzatetto, i migranti sono persone sole, sono esseri umani, potrebbero essere i nostri genitori, i nostri figli. Stiamo parlando di salvezza, non di migranti economici, queste persone rischiano la vita, le donne rischiano di diventare schiave sessuali».
Gere spiega anche perché abbia scelto di non partecipare all’udienza del 6 ottobre 2023 in cui era previsto fornisse la sua testimonianza: «Ho preferito un intervento a distanza e ho offerto una testimonianza scritta, ma non è stata accettata. Non è facile arrivare a Palermo, ma sono lieto di questo invito perché è molto importante esprimersi con calma sui fatti di quei giorni».
«Io sono privilegiato, non c’è alcun dubbio – rivendica l’attore hollywoodiano – e sono molto fiero e orgoglioso di poter aiutare le persone, questa è l’unica ragione per vivere». Un appello rivolto alle istituzioni internazionali: «Ci saranno sempre i rifugiati, è un fenomeno strutturale. Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità nei Paesi più abbienti. Penso che gli italiani abbiano svolto un lavoro eccellente, ma questa è una responsabilità è un fenomeno mondiale, non una problematica italiana. Bisogna coinvolgere l’Onu e l’Unione europea».

Nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo, oggi i giudici hanno sentito il vicepremier Matteo Salvini, rappresentato dalla senatrice del suo partito Giulia Bongiorno. Prima di rispondere alle domande dell’accusa, il ministro delle Infrastrutture ha reso dichiarazioni spontanee per cinquantanove minuti. Secondo Salvini, grazie alla politica dei “porti chiusi” portata avanti nei suoi quindici mesi al Viminale, tra il 2018 e il 2019 «non si sono registrati morti in mare» e «gli sbarchi si sono ridotti del 90 per cento». Soprattutto, il ministro insiste sulla responsabilità condivisa con gli altri membri dell’allora esecutivo gialloverde: «La politica in tema di immigrazione, che puntava a contrastare il traffico di essere umani, era condivisa da tutto il governo. Dal presidente del consiglio Conte e dai ministri Di Maio e Toninelli». Almeno fino alla vicenda dell’ong catalana al centro del processo palermitano: «In tutte le centinaia di episodi precedenti – ha precisato Salvini – ci sentivamo al telefono per le varie questioni. Con Open Arms, invece, Conte iniziò un carteggio. Il 14 agosto per la prima volta mi scrisse riferendosi ai minorenni a bordo e invitandomi a prendere le decisioni conseguenti». Secondo l’ex ministro dell’Interno, i diciannove giorni d’attesa senza l’autorizzazione ad attraccare rientravano in una normale trattativa politica con i Paesi Ue: «Non concedere il porto sicuro prima di aver chiuso l’accordo con gli altri paesi europei sulla redistribuzione era una sorte di pressione, e grazie al nostro operato finalmente l’Europa è diventata solidale».

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