Il vero cancro della democrazia è il Quirinale: Maurizio Belpietro approfitta dell’anaddoto di Pupo per spiegare a Meloni quale sia la vera riforma che desiderano gli italiani

Maurizio Belpietro per “la Verità” – Estratti

Ci voleva Pupo, al secolo Enzo Ghinazzi, personaggio poliedrico, cantante, conduttore, paroliere e anche scrittore, oltre che giocatore d’azzardo incallito, per strappare il velo d’ipocrisia che avvolge il Quirinale e in particolare la figura di Giorgio Napolitano, primo presidente della Repubblica a essere rieletto per una seconda volta. Per anni ci hanno raccontato che il capo dello Stato è un’istituzione super partes, che ha il solo compito di rappresentare l’unità della nazione e mai esonda dal proprio ruolo.

Beh, in un’intervista a Repubblica, Pupo racconta che nel 2010, con la canzone Italia amore mio, lui ed Emanuele Filiberto di Savoia, che sul palco dell’Ariston cantava il brano insieme al tenore Luca Canonici, avevano vinto il Festival di Sanremo, ma dal Colle giunse una telefonata che impose agli organizzatori di cambiare, perché un erede del re non poteva conquistare il primo posto. Per di più, il brano era un inno al futuro, alla giustizia e al lavoro, un elogio verso un Paese «più normale», con una frase che parlava di chi non poteva tornare pur non avendo fatto niente di male.

Un riferimento che al Quirinale forse qualcuno considerò un po’ troppo monarchico.

Al di là dell’episodio divertente, di una presidenza della Repubblica che si preoccupa dello «scandalo» di un erede al trono che vince la competizione canora più importante d’Italia, con la pretesa che il trio destinato al successo sia retrocesso al secondo posto, la vicenda svela il segreto di Pulcinella.

Ovvero che il capo dello Stato è tutt’altro che una figura super partes designato dalla Costituzione a tagliare nastri, ricevere ambasciatori e sollecitare ogni tanto il Parlamento all’unità nazionale e al rispetto dei principi condivisi.

Il più attivo nel manovrare le leve della Repubblica tuttavia, pare sia stato Giorgio Napolitano, che da comunista applaudì l’invasione russa dell’Ungheria per poi trasformarsi in atlantista e applaudire gli aerei americani, inglesi e francesi che bombardarono la Libia.

Quando è scomparso, tutti si sono affrettati a erigergli un monumento, smentendo che avesse brigato per far fuori Silvio Berlusconi e mettere al suo posto Mario Monti. Balle. Io stesso ho raccolto la testimonianza di un importante uomo politico tuttora sulla scena che fu testimone delle pressioni di Napolitano su Gianfranco Fini, affinché l’ex leader di An e all’epoca presidente della Camera togliesse la fiducia al Cavaliere con una scissione del Pdl. Del resto, Marco Reguzzoni, a quei tempi capogruppo alla Camera della Lega, ha raccontato di aver egli stesso ricevuto pressanti inviti dell’allora capo dello Stato a cambiare cavallo e quando respinse i solleciti ricevette in cambio una velata minaccia.

Accompagnandolo alla porta, Napolitano gli avrebbe infatti suggerito di non mettersi contro.

Che l’ex comunista asceso ai vertici dello Stato fosse solito fare e disfare, peraltro lo ha rivelato proprio ieri lo stesso capo della Procura di Napoli, Nicola Gratteri. Il magistrato pare fosse stato scelto da Matteo Renzi come ministro della Giustizia, ma il Colle avrebbe detto no, bocciandolo. Ora scopriamo che Napolitano non solo si intrometteva nella scelta dei ministri (che ancora in qualche misura ci può stare, visto che tocca al presidente della Repubblica nominarli su indicazione del premier), ma metteva bocca perfino sui vincitori di Sanremo.

Tutto ciò, oltre a essere divertente, mi porta a un paio di considerazioni. La prima è che non serve fare una riforma del premierato, è più urgente fare la riforma presidenziale, così almeno saremo noi e non i partiti a scegliere chi deve salire al Colle. La seconda riflessione riguarda non tanto come siano andati i festival di Sanremo, ma come sarebbe stata l’Italia senza Scalfaro e Napolitano e senza i governi tecnici. Che i capi dello Stato abbiano spesso scippato agli italiani il diritto a decidere da chi essere governati ormai è assodato. Ma senza i Ciampi, i Dini, i Monti e i Draghi, il nostro Paese sarebbe stato padrone del proprio destino e non vittima di scelte fatte da chi, in nome del bene per l’Italia, ha deciso contro gli italiani.

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