di Tommaso Lorenzini per Libero
L’abitudine di imporre a chi fa comunicazione un linguaggio correttissimo al quale attenersi è ormai così radicata nell’Italia che pende a sinistra che neppure i kompagni si accorgono di superare la linea rossa del surreale, del comico, de “La sai l’ultima” con le loro farneticanti elucubrazioni. L’ultimo saggio di Vittorio Feltri, «I fascisti della parola», nel quale il fondatore di Libero racconta come i sacerdoti del politicamente corretto stiano condizionando il dibattito pubblico, tanto da far sì che termini dal valore giuridico, affettivo e identitario, siano condannati come «razzisti», fa sponda con i vari protocolli varati dall’Ordine dei Giornalisti (per cui il cronista che usa i termini “zingaro” o “clandestino” va sanzionato) oppure con l’ultima dicitura adottata da Medici senza Frontiere, per cui a “migrante” è preferibile sostituire la dizione “persona in movimento”.
Ieri, la firma sulla rinnovata censura delle parole l’ha voluta mettere anche Alessandro Zan, deputato e responsabile Diritti della segreteria nazionale del Pd, che su X ha sentenziato: «Tg1 delle 20. Il servizio pubblico deve usare un lessico scientifico: sono “persone trans” non “i transessuali”, termine disumanizzante; è “gestazione per altri” non “utero in affitto”. È inaccettabile nei TG il lessico ideologico e discriminatorio usato dalla destra di tele Meloni». Un tweet indicativo dello stato confusionale in cui versa il Pd (dato che affari come questo sono la sua priorità), un tweet esplicativo per misurare quale parossismo abbia raggiunto la sinistra sulla tematica gender e affini.
Dunque, nel nome dell’inclusività, i paladini del diverso impongono paletti e steccati per un lessico unico (dettato da loro), predicano ed esigono apertura ma vogliono insegnare e chiudere la bocca a chi si esprime in maniera a loro sgradita, pur non violando alcuna legge. Del resto, nascondersi dietro sigle asettiche e incomprensibili consente di distogliere il focus dall’obiettivo. “Gestazione per altri” e non “utero in affitto”: forse chiamare le cose col proprio nome è pericoloso? Meglio Gpa o Lgbtqia+? Il Pd vuole di fatto vietare ai giornalisti l’utilizzo del loro strumento principe, la parola, dimenticando che proprio da questa tanto vituperata “casta” arrivano anche contributi alla lingua- che è liquida e suscettibile di trasformazioni – con neologismi poi entrati nel quotidiano. Pensate a Gianni Brera, la penna più felice dello sport, che ha inventato “catenaccio”, “centrocampista”, “goleador”: oggi non potrebbe scrivere «Abatino» di Gianni Rivera perché sarebbe allusivo e offensivo…
L’uscita di Zan, tuttavia, non deve stupire, la manipolazione linguistica è propria di una sinistra che ama travestirsi fingendo di cambiare per rimanere sempre la stessa. Nel novembre dell’89, quando alla Bolognina Achille Occhetto annuncia che avrebbe tolto la parola “comunista” al Pci, si opta per Pds. Eppure i metodi, la comunicazione, i gangli sociali restano in stretto rapporto col passato comunista. Nel 1998 il Pds diventa Ds, Democratici di sinistra, con l’ambizione di unificare i cespugli sparsi attorno a quella Quercia che fa capo un po’ a D’Alema, un po’ a Fassino, un po’ a Veltroni e poi sta pure un po’ all’ombra dell’Ulivo di Prodi. Il solito minestrone, fino a che nel 2007, ecco spuntare il Pd, che tira dentro Ds e Margherita (perché nel frattempo è arrivato Rutelli); e fra alterne fortune e soliti nomi si fa riferimento anche a Bersani, a Renzi, etc etc. Altra svolta solo nominalistica: scompare “sinistra” ma la sostanza non cambia: tolta dai simboli, la sinistra resta con parole e musica. Chiederlo a Elly Schlein.
P.S. Ieri: la Repubblica, quotidiano di riferimento della sinistra, a pagina 23 titola: «Le trans potranno fare le testimone di nozze»; La Stampa, altro quotidiano di riferimento della sinistra, a pagina 19 titola: «Trans e gay, la mossa del Papa»… Come TeleMeloni. Chi lo dice a Zan?
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