Ricercatore Gretino pretende di tornare da un lavoro in Papua Nuova Guinea via nave per non inquinare: l’azienda lo ha giustamente licenziato in tronco

Si rifiuta di prendere l’aereo per non inquinare, scienziato licenziato: “Un viaggio dalla Papua Nuova Guinea all’Europa produce emissioni pari a quelle di un uomo in un anno”

La protesta di Gianluca Grimalda, 51 anni, milanese, economista bocconiano, scienziato del clima e ricercatore in Psicologia sociale

«Il pagamento del mio stipendio è già sospeso. Mi aspetto un altro ammonimento già oggi e una lettera di licenziamento alla quale potrò oppormi entro tre settimane. Il punto è che in un’epoca di emergenza climatica, la follia non consiste nel rinunciare a un posto di lavoro ma nel continuare “tutto come al solito”». Gianluca Grimalda, 51 anni, milanese, economista bocconiano, scienziato del clima e ricercatore in Psicologia sociale, potrebbe essere licenziato dal Kiel Institute for World Economy (IfW) dove lavora per essersi rifiutato di rientrare in Germania in aereo dalla Papua Nuova Guinea dove, da sei mesi, conduce un progetto di ricerca. Mettersi in contatto con lui non è semplice, per via del fuso orario ma anche delle frequenti interruzioni di corrente.

Cosa è andato a fare in Papua Nuova Guinea?

«L’obiettivo qui a Bougainville era studiare l’impatto del cambiamento climatico e della globalizzazione (intesa come integrazione nell’economia di mercato) sulle popolazioni locali. Il tema principale della mia attività di ricerca è la cooperazione in tutte le sue forme. Per cooperazione intendo la disponibilità dell’individuo di sacrificare i propri interessi in favore di quelli collettivi: pagare le tasse, evitare di disboscare una foresta, contribuire a fondi di solidarietà. Volevo vedere se una maggiore esposizione all’economia di mercato o al rischio di cambiamento climatico porta gli individui ad essere più solidali gli uni con gli altri».

Perché si rifiuta di tornare in aereo?

«Per ragioni di principio. È da più di 10 anni che prendo aerei solo quando non ho alternative e cerco di limitare i viaggi a quelli indispensabili. Lo faccio perché sono cosciente che viaggiare in aereo è la forma di trasporto che produce la maggior quantità di gas serra responsabili dell’aumento delle temperature e dei fenomeni meteorologici estremi a cui stiamo assistendo. Un viaggio in aereo dalla Papua Nuova Guinea all’Europa, in 32 ore, produce emissioni pari a quelle che un uomo produce in media in un anno. La richiesta da parte dell’IfW di farmi rientrare è un ricatto morale e psicologico: sanno benissimo che pratico obiezione di coscienza sul prendere aerei. Quindi ho deciso di non sottostare a questa loro richiesta, anche se questo mi farà perdere il lavoro».

Come ci è arrivato fino a Bougainville?

«Ho cercato di minimizzare le emissioni ricorrendo all’aereo solo dove necessario. Ho percorso 15.000 dei 22.000 km che dividono la Germania del Nord da Bougainville in treno, in pullman, in traghetto. Ho preso un aereo solo da Singapore. Il viaggio ha richiesto 35 giorni (è tutto documentato su X, ex Twitter, ndr)».

Al di là della questione “di principio”, qual è l’obiettivo della sua protesta?

«È da tempo che ho deciso di anteporre la salvaguardia del benessere collettivo ai miei interessi personali. Quello che sto facendo è coerente con questa mia missione: voglio portare all’estremo la richiesta di perseguimento di politiche climatiche che salvaguardino l’ambiente. Siccome si tratta di un problema globale, spero che la mia azione abbia risonanza globale. Voglio anche chiedere che l’obiezione di coscienza a prendere l’aereo sia riconosciuta come una valida ragione per i lavoratori per opporsi all’uso di questo mezzo di trasporto. Molti penseranno che sia folle rinunciare a un posto di lavoro, devo dire, favoloso (per la retribuzione e per le condizioni di lavoro), per un solo viaggio in aereo. Ma nell’epoca attuale è folle proseguire con il “tutto come al solito” (“business as usual”), fare finta che tutto stia andando bene, quando la scienza climatica ci dice che stiamo pericolosamente vicini al collasso dei principali ecosistemi».

Lei è anche un attivista di Scientist Rebellion. Come è entrato in contatto con il movimento?

«In occasione della COP 26 di Glasgow: ho visto dall’esterno il loro modo di operare e di ricorrere alla disobbedienza civile come strumento di azione collettiva. In seguito, dato il perdurante utilizzo di combustibili fossili come fonte energetica, in contrasto a quello che raccomanda la scienza climatica, ho deciso di agire in prima persona nella disobbedienza civile».

Se tutti smettessero di prendere gli aerei, il turismo sparirebbe in molti paesi che vivono solo di quello. Sarebbe un danno enorme.

«Non sono certo a favore dell’abolizione del turismo. Ma andare e tornare da Ibiza con 20€ e mantenere questo tipo di turismo provoca più danni di quelli provocati dal cambiamento climatico. Penso che ci siano degli aspetti vantaggiosi nel promuovere un turismo “responsabile” e rispettoso dell’ambiente, a cominciare dalla possibilità di creare un senso di fratellanza globale. Sono a favore di una carbon tax e di un taglio immediato ai sussidi impliciti all’industria dell’aviazione (le compagnie aeree non pagano tasse sulla benzina). Dobbiamo renderci conto che l’industria del turismo, almeno questo turismo, è riservata alle élites. L’80% delle persone al mondo non metterà mai piede su un aereo. Il 50% delle emissioni di CO2 proviene dal 10% di persone più ricche al mondo, ed il 68% di emissioni da un altro 20% (Fonte Oxfam)».

Il movimento Scientist Rebellion è anche a favore dell’abolizione di jet privati?

«Era l’oggetto della nostra campagna di novembre. Così come la richiesta di tassare i viaggiatori frequenti. E sulle imprese: quelle maggiormente inquinanti sono una manciata, nell’ordine di una ventina. Questo vuol dire che regolamentare un numero di persone e imprese relativamente piccolo avrebbe un impatto molto grande sulle emissioni che non regolamentare 8 miliardi di persone. Quello che vedo qui è un’economia di sussistenza in cui le persone vivono scambiando beni all’interno della comunità o tra comunità limitrofe. Esportano soli una parte limitata di materie prime all’estero. Non auspico che le economie vadano in questa direzione, ma avere economie globalizzate non è indispensabile per vivere in maniera dignitosa».

Come pensa di tornare in Germania?

«Ho ottenuto il permesso di viaggiare su una nave mercantile per uscire dall’isola dove mi trovo. È stata la cosa più difficile. Arriverò via mare a Singapore. Poi proseguirò il viaggio via terra. La data di partenza dipende dalle operazioni di scarico e carico merce, ma dovrebbe essere lunedì prossimo. Il viaggio dovrebbe durare complessivamente 45/50 giorni».

Ha mai pensato di restare lì a lavorare?

«Per il tipo di attività che svolgo sarebbe assolutamente possibile, anche se le frequenti interruzioni di internet, già di per sé molto lento, non aiuterebbero. Purtroppo, rimanere qui comporterebbe non vedere la mia famiglia. Ma ho in programma di rientrare a Bougainville ad agosto prossimo per concludere un altro progetto di ricerca iniziato 4 anni fa».

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3 comments
  1. Come tutte le persone affette da gretinismo mescola bene tanti fattori insieme per ottenere un discorso illogico. Usano alcuni concetti veri e reali per trarre delle conclusioni assolutamente false. Già i titoli che si affibbia sono ridicoli, per non parlare poi perchè usando navi e altri mezzi di trasporto non inquinerebbe, suvvia va a piedi che fai ancora meglio.

  2. Un autentico pirla, pure le navi inquinano. In una tratta marittima tanto lunga è di gran lunga meno inquinante un volo.
    Che torni a nuoto, oppure in barca a remi, squali e tempeste permettendo.

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