E’ morto Domenico De Masi, il sociologo del nulla cosmico che ha avuto una seconda vita facendo una marea di danni da consulente dei Cinquestelle: tra pandemia, e reddito di cittadinanza ha contribuito a lasciarci in braghe di tela

“Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma” è il motto di Paul Valery che aveva scelto per descriversi sul proprio sito web. Una rondine, cioè un uccello determinato “ma senza spocchia” con una sua struttura interna. Quella rondine, Domenico De Masi, morto all’età di 85 anni, a seguito di una improvvisa e micidiale malattia, lo è stato per tutta la sua lunga vita. Piantata nel Novecento con la determinazione, intellettuale, organizzativa, di puntare al XXI secolo, e anche oltre. Senza il 900 non si capisce la sua poliedrica vivacità culturale, la rete di relazioni praticamente infinita, il cosmopolitismo che lo porta a studiare a Parigi alla vigilia del ’68 e negli ultimi venti anni a divenire una star intellettuale in Brasile.

La “rondine” la propria agilità la rivela subito: nasce a Rotello, in provincia di Campobasso, nel 1938, frequenta il liceo a Caserta e si va a laureare in Giurisprudenza all’Università a Perugia. Il primo vero salto arriva dopo la laurea, quando si trasferisce a Parigi per il dottorato in Sociologia del Lavoro affidandosi alla sapienza di Alain Touraine con cui entra in quella dimensione, che non lo lascerà più, di sociologia applicata ai processi reali, che costituiva la vera novità introdotta dal sociologo francese. Su questo asse costruisce una elaborazione che non solo riflette sui processi lavorativi, ma li studia direttamente in fabbrica e si candida poi a governarli su forme nuove. Un’impostazione che gli deriva anche dall’incontro con Adriano Olivetti per cui lavora brevemente e poi l’intesa con Touraine e con la “doppia dialettica delle classi”, che prescrive non solo la contrapposizione marxiana tra borghesia e proletariato ma anche quella che vede imprenditori illuminati contrapposti a una classe subalterna conservatrice.

Di ritorno da Parigi inizia la carriera accademica, prima come assistente di sociologia all’università Federico II di Napoli, che affianca però a quella di ricercatore all’Italsider di Bagnoli. Nel 1970 accetta l’incarico di assistente presso la appena costituita facoltà di Scienze politiche all’università di Cagliari, e lì si trova a fianco di una serie di menti brillanti come Gustavo Zagrebelsky, Valerio Onida, Luigi Berlinguer, Franco Bassanini. Torna poi a Napoli, all’Orientale, dove insegna Sociologia a Scienze politiche, di nuovo alla Federico II tra il 1974 e il 1977 per poi approdare a Roma dove insegna Sociologia presso il Magistero fino a divenire preside della facoltà di Sociologia e Scienze della Comunicazione. I manuali di organizzazione del lavoro e di sociologia del lavoro che pubblica sono innumerevoli, tra i libri più rilevanti, Il lavoratore post-industrialeIl futuro del lavoro fino a Ozio creativo dove sostiene che “la quantità e qualità del prodotto non dipendono dal controllo sul lavoratore ma dipendono dalla sua motivazione” e dalla sua capacità di entrare nella dimensione di “ozio creativo”.

Una visione sul futuro, uno squarcio sul mondo digitale e sulle rivoluzioni tecnologiche, non a caso De Masi sarà in prima fila nell’analizzare la dirompente novità dello Smart working così come della riduzione dell’orario di lavoro, del reddito di cittadinanza. E mantiene però l’attenzione alle aziende, realizza l’Associazione italiana dei formatori, crea la S3Studium che poi si trasforma in società di consulenza. È anche in questa veste che crea la Scuola del Fatto, dove la tematica del lavoro assume un ruolo centrale anche nel rapporto con le migliori imprese italiane.

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