SI CHIAMAVA SAMANTHA SMITH
(La triste storia della bambina americana di dieci anni che avrebbe potuto capovolgere gli stereotipi riguardo all’URSS.)
Samantha Smith era nata il 29 Giugno 1972 a Houlton, nello Stato del Maine, ed era ancora una bambina ai tempi dell’intervento Sovietico in Afghanistan.
Intervento legittimo, finalizzato a sostenere il Governo Laico e Socialista di quel Paese dall’aggressione dei sanguinari Mujaheddin finanziati dall’Occidente, ma che nell’Occidente stesso fu spudoratamente dipinto come un’invasione da parte Sovietica.
(Ancora adesso in giro in Occidente ci sono tanti creduloni, con il cervello all’ammasso del mainstream, che accettano la tesi dell’invasione Sovietica, e neanche il confronto tra le fotografie di come vivevano le donne Afghane allora e come “vivono” adesso li aiuterĆ mai a chiarirsi le idee.)
Samantha era una bambina sveglia, che seguiva la politica internazionale, nonostante la giovane etĆ , e fu molto colpita dalle immagini che arrivavano dall’Afghanistan. CosƬ nel 1982, a dieci anni, decise di scrivere una lettera allāallora segretario generale del Partito Comunista Sovietico, Jurij Andropov, chiedendogli di evitare la guerra.
La lettera fu pubblicata sulla Pravda (la terribile Pravda … i giornali Americani avrebbero mai pubblicato una lettera del genere scritta da una bambina Russa? O meglio, la hanno mai pubblicata?) Una settimana dopo lāAmbasciata Sovietica negli Stati Uniti telefonĆ² a casa di Samantha dicendo che Andropov aveva risposto. Pochi giorni dopo arrivĆ² a Samantha una lettera scritta in russo, accompagnata da una traduzione in inglese e da un invito alla bambina e alla sua famiglia a passare un periodo di ferie nell’URSS.
La vicenda ottenne grande attenzione dai media, venne raccontata dai giornali e Samantha fu intervistata da diverse televisioni Americane.
Il 7 luglio del 1983, Samantha partƬ per lāUnione Sovietica con i suoi genitori e ci restĆ² per due settimane, ospite di Andropov, seguita da giornalisti e fotografi. VisitĆ² Mosca, Leningrado e trascorse del tempo ad Artek, campeggio estivo in Crimea.
Ad Artek decise di rimanere insieme ai bambini Sovietici piuttosto che prendere un alloggio separato che le era stato offerto. Per facilitarne la comunicazione vennero scelti insegnanti e bambini in grado di parlare fluentemente l’inglese, che vivessero nella stessa costruzione in cui lei alloggiava. Rimanendo in un dormitorio con altre nove ragazze, Samantha passĆ² il suo tempo nuotando, parlando, e apprendendo canzoni e danze Russe. Samantha Smith acquistĆ² un’ampia fama tra i cittadini Sovietici e fu molto ben voluta da molti di loro.
Parlando a una conferenza stampa a Mosca, dichiarĆ² che i Russi erano “proprio come noi”. Anni dopo, per raccontare il suo viaggio, scrisse un libro intitolato “Journey to the Soviet Union”.
Quando tornĆ² negli Stati Uniti, il 22 luglio, Samantha Smith era molto popolare: fu accolta e celebrata come “la piĆ¹ giovane ambasciatrice dāAmerica”.
Lāanno dopo fu invitata in Giappone e parlĆ² al Simposio Internazionale della GioventĆ¹, proponendo che i leader Sovietici e Americani si scambiassero le figlie per due settimane allāanno spiegando che un presidente “non avrebbe mai voluto inviare una bomba a un paese in cui ĆØ in visita la propria figlia”.
Il successo di Samantha, mentre fu assoluto in Unione Sovietica (e anche in Giappone), lo fu molto meno nella sua Patria natale, negli USA. Dopo una fase iniziale di interesse, le autoritĆ iniziarono ad ignorare sistematicamente le iniziative della intraprendente ragazzina.
Avere tra i piedi una vera e propria “ambasciatrice” della fratellanza con il Popolo Sovietico che ripeteva in ogni occasione che “I Sovietici cono come noi” smontava tutta la poderosa macchina di propaganda Americana, tesa a dipingere il “Compagno Ivan” come un essere inumano, antropologicamente crudele, dedito alle peggiori efferatezze (vedere la vastissima produzione spazzatura di Hollywood, con il Russo immancabilmente nel ruolo del cattivo.)
Mentre presso la popolazione Americana Samantha rimase popolarissima fino alla fine, da parte delle autoritĆ calĆ² su di lei una sinistra coltre di gelo (Altro che Greta eh …)
LA MORTE
Il 25 Agosto di quello stesso anno un aereo su cui viaggiava Samantha Smith mancĆ² la pista dellāaeroporto regionale Lewiston-Auburn nel Maine e si schiantĆ².
Non sopravvisse nessuno: morirono due membri dellāequipaggio e sei passeggeri, tra i quali Samantha e suo padre.
Sulla causa dellāincidente in molti sospettarono subito la CIA.
Fu aperta unāinchiesta e il rapporto ufficiale venne reso pubblico: “lāangolazione di volo relativamente ripida dellāaereo, lāaltitudine e la velocitĆ al momento dellāimpatto, hanno precluso agli occupanti dellāaereo la possibilitĆ di sopravvivere allāincidente”.
Al funerale, che si svolse ad Augusta partecipĆ² un rappresentante dellāambasciata sovietica a Washington, che lesse un messaggio personale di condoglianze da parte di Mikhail Gorbaciov in cui si parlava di Samantha come di un “simbolo di pace e amicizia fra i due popoli”: lāURSS quellāanno le dedicĆ² anche un francobollo commemorativo.
Alla cerimonia non partecipĆ² invece alcun rappresentante del governo statunitense: lāattivitĆ di promozione della pace di Samantha e la sua vicinanza ai Sovietici furono anzi molto criticate dai conservatori Americani e dagli anticomunisti, che la accusavano di propaganda.
Come ĆØ morta veramente Samantha Smith? Non lo sapremo mai. Ciascuno tragga le conclusioni che vuole. Io le mie le ho e tutto mi sembra fin troppo chiaro, anche alla luce di tante tragedie analoghe che da sempre accadono nel “democratico” Occidente a chi osa sfidare (anche inconsciamente e in buona fede, come nel caso della povera Samantha) il potere costituito.
Quello che sappiamo ĆØ che in Russia ĆØ ricordata con affetto ancora oggi, e molte scuole e campi estivi le sono ancora dedicati. Negli USA, liquidata la pericolosa seccatrice, la sua memoria ĆØ finita subito nel dimenticatoio.
Samantha Smith era una ragazzina che sognava un Mondo migliore. Ma visse, e morƬ, in un Mondo nel quale non c’era spazio per i sogni e, tanto meno, per i sognatori.
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