Strage di Bologna, vietato esprimere dissenso sul dogma che la magistratura e la sinistra impongono al mainstream: la furia della Schlein contro il dirigente della Regione Lazio che ha espresso forti dubbi

L’esponente politico di destra: «Ho violato un dogma se devo andare sul rogo pagherò, ma ne sono orgoglioso». Per ora Rocca tace. Bonaccini: «Ignobile e bugiardo, venga a dirle a Bologna queste cose». L’ex presidente della Camera Violante: «Se conosce i responsabili ha il dovere di chiarire»

«Ho espresso il mio dissenso. E sono finito sul rogo. Da uomo libero». Lo scrive su Facebook, Marcello De Angelis, responsabile della comunicazione Istituzionale della Regione Lazio, dopo le polemiche nate per il post scritto sulla strage di Bologna. «Come ogni libero cittadino di questa Nazione, ho esercitato il diritto di esprimere la mia opinione su un evento solstiziale della nostra storia, fondata su decenni di inchiesta svolta come giornalista e parlamentare – prosegue De Angelis in un altro post- . E certo, non lo nego, animato dalla passione di chi ha avuto un fratello morto, vittima di uno degli accertati depistaggi orditi per impedire l’accertamento della verità, con l’utilizzo della falsa testimonianza del massacratore del Circeo Angelo Izzo – ricorda De Angelis -. E quindi con il diritto personale e familiare di chiedere di approfondire ogni analisi finché non sia dissipato qualunque dubbio». «Ho detto quello che penso senza timore delle conseguenze. Se dovrò pagare per questo e andare sul rogo come Giordano Bruno per aver violato il dogma, ne sono orgoglioso», conclude De Angelis.

Pronta la presa di posizione di Schlein: «Ignobile riscrivere la storia, De Angelis si dimetta dalla Regione Lazio. Se non riescono a farlo i vertici della Regione Lazio sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a prendere provvedimenti immediati. È grave che Meloni il giorno della commemorazione non sia riuscita a dire che quella di Bologna sia stata una strage neofascista, sarebbe gravissimo se continuasse a permettere ai suoi sodali di stravolgere la verità processuale. Ponga fine, una volta per tutte, a questa scellerata aggressione alla storia». Un attacco diretto e duro che rappresenta bene l’indignazione di tutte le opposizioni che hanno fatto sentire forte e chiara la propria voce.

di Carmelo Briguglio per Il Secolo d’Italia

Ho imparato una tecnica che vi “passo” volentieri: quando c’è un anniversario in vista, di quelli – diciamo così – non ancora o non del tutto condivisi, meglio scrivere alcuni giorni prima o qualche giorno dopo. Sulla strage di Bologna dico subito di condividere la linea istituzionale – ma è pure politica – di Ignazio La Russa che si è attenuto a ciò che una sentenza della magistratura ci dice: c’è una “definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista” la responsabilità della strage di Bologna.

Le dichiarazioni “istituzionali” di La Russa hanno anche valore politico

La Russa – peraltro tanto attaccato nelle scorse settimane con spropositato accanimento – non è “soltanto” la seconda carica dello Stato, ma è la personalità più alta in grado anche politica del suo partito dopo Giorgia Meloni: un fondatore di FdI. Faccio una domanda alla sinistra: perché si è provato a fare “scivolare sulla folla” – il lessico è di Repubblica – le affermazioni del presidente del Senato e il loro senso politico? Che credono? Che sia stato difficile a La Russa dire ciò che ha detto. Chi lo pensa commette un grave errore di cultura politica. Ciò che afferma lo speaker della nostra Camera Alta si iscrive nella tradizione della destra italiana, nel suo patrimonio morale: non vi fuoriesce; non ne costituisce una variante “esotica” o di opportunismo. Vi appartiene a pieno titolo. Inutile spiegare più del necessario che quell’affermazione non imbarazza, né “tocca” la destra parlamentare: né FdI, né An, neppure il Msi di Almirante considerato nemico dalla “destra” extraparlamentare o peggio dal terrorismo “nero” e dalle aree ad esso contigue; da cui – insisto – la destra costituzionale si é sempre tenuta lontanissima, condannandone fatti e atti. Quindi, questa ossessione del “dovete dire strage fascista” a sinistra, la capisco molto poco; anzi per nulla. Non le porta niente, ad essere chiari e non ipocriti. E non porta, soprattutto, alcun contributo ad illuminare il buio che persiste ancora sulla strage di Bologna e sulle altre.

Il lessico “obbligatorio” non scioglie i dubbi sulla “strage di Stato”

Il problema è che il lessico “obbligatorio” non risolve una questione: gli esecutori della strage furono “neofascisti”, ma chi furono i mandanti e per quale movente? Perché bloccarsi sul “dovete dire che è strage fascista, sennò…” non risponde a tanti quesiti: i manovali della strage a chi “ubbidirono”? Al servizio di chi furono? Perché, da più – molte, tante – parti si parla di “strage di Stato”? Anche a sinistra, nevvero? Chi allora – il 2 agosto 1980 – era “lo Stato”? Che governi c’erano? Dentro il partito-Stato quali autorità politiche “gestivano” gli apparati? Chi, i servizi segreti, il servizio segreto militare, le relazioni internazionali? Voi che dite: era la destra parlamentare? No, il Msi era all’opposizione e senza alcuna partecipazione al potere, col sistema consociativo; vigeva anzi nei confronti della destra una conventio ad excludendum: il famigerato arco costituzionale. E se un giorno si scoprisse qualche “verità” sui mandanti diversa o discrepante con la “verità” accertata sugli esecutori “neofascisti”? Attenzione: il caso Scarantino-Spatuzza sulla strage mafiosa di via D’Amelio, sulla verità giudiziaria capovolta da una successiva verità giudiziaria non dice nulla?

L’impegno della premier Meloni per la desecretazione

Rientra nelle prerogative del governo e soprattutto del presidente del Consiglio la desecretazione di tutti gli atti che possono contribuire a fare verità senza più zone d’ombra; delle quali prerogative la massima non è la proposta dei ministri per la nomina del governo, perché è subordinata a un’autorità superiore che decide, cioè il presidente della Repubblica. Il massimo potere, come in tutti i Paesi del mondo, è invece l’apposizione o rimozione del segreto di Stato e di qualunque altra forma di secretazione, avvertendo che in materia di terrorismo teoricamente però il segreto non sarebbe opponibile. Materia scivolosa. Ecco perché la promessa della premier Meloni perché si giunga a un completo e definitivo disvelamento é non solo corretta, ma molto importante; perché è esattamente ciò rientra nelle sue attribuzioni: è ciò che può fare e si è impegnata a fare. Questo può, deve. Ora, non so se sulla strage la Meloni ha dei dubbi. Se li avesse sarebbero più che legittimi. Sapete perché? Perché il presidente del Consiglio in carica se ha dei dubbi, deve mantenerli: è suo diritto e suo dovere, di donna di Stato, di massima autorità politica. E di leader del maggiore partito italiano. Non solo dubbi, ma anche dissensi aperti – rispetto all’attuale verità giudiziaria – li hanno espressi altre personalità delle istituzioni e uomini di Stato.

I dubbi e il dissenso di Cossiga

Due su tutti, un presidente della Repubblica e un presidente del Senato, ambedue anche predecessori di Giorgia Meloni, come premier: Francesco Cossiga e Giovanni Spadolini erano persuasi di piste legate al terrorismo internazionale. Il primo chiese scusa al Msi, da capo dello Stato, perché era stato male informato dai Servizi sulla natura fascista della strage, al tempo in cui era premier; come se non bastasse al comitato parlamentare di controllo dei Servizi, si spinse a dichiarare: “La targa alla stazione di Bologna che definisce fascista la strage del 1980 va tolta”. Non so se è un eccesso che rientra in una figura “eccessiva”, ma di grande onestà intellettuale. L’ascrivere “alla categoria di fascisti gli stragisti di Bologna, ancorché fossero il Fioravanti e la Mambro, è una cosa altrettanto ingiusta quanto l’andare nella zona del triangolo rosso e mettere una lapide in ricordo degli 82 parroci uccisi dicendo: trucidati dai comunisti”, dichiarò Cossiga alla commissione Stragi, il 6 novembre del 1997, presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino (Pci-Pds-Ds-Pd), anche lui men che concorde con le tesi ufficiali.

“Non riesco facilmente a comprendere perché i due avrebbero dovuto fare una strage di quel genere e quale utilità ne sarebbe derivata al loro movimento e alla loro impostazione. Questi non erano due stupidi, perché avevano ucciso altra gente. Che cosa ha significato quella bomba se non uno scatenamento poliziesco e politico contro l’estremismo di destra e contro la destra in generale?”, aggiunse Cossiga. Il quale, disse pure, che per avere fatto verbalizzare queste affermazioni, sulla scorta anche di testimonianze a lui rassegnate “moralmente a favore della Mambro e di Fioravanti sono stati esponenti della sovversione di sinistra”. E questo – affermò l’ex capo dello Stato – gli provocò l’accusa di essere addirittura “mandante della strage”. “E a chi chiedeva loro spiegazioni rispondevano: così lui impara a parlare con questi e a dire che loro due non sono i responsabili di tale strage”, disse Cossiga con accenti polemici nei confronti di alcuni componenti dell’Associazione delle vittime.

Per Spadolini si trattava di pista libica

Quanto a Giovanni Spadolini era apertamente convinto che la strage fosse legata al terrorismo internazionale, segnatamente alla Libia di Gheddafi, tanto che presentò al tempo un’interrogazione parlamentare mettendolo nero su bianco; lo fece insieme a Libero Gualtieri, che era stato a capo della “Stragi” prima di Pellegrino; Spadolini era stato anche ministro della Difesa – come Gualtieri conosceva la materia – oltre che, da tutti apprezzato, storico e intellettuale. Che vogliamo fare? Dubitare di chi dubita? “Meloni non merita il rispetto degli italiani dopo le parole sulla strage di Bologna”: sono esterrefatto di questa dichiarazione di Bersani che passa per persona seria. Mi sembra abbia perso di lucidità.

Bersani poco lucido: da Mattarella stesse dichiarazioni da anni

Pensa che sia la prima volta che Mattarella parli della “matrice neofascista” che è stata accertata nei processi. “Quando ho sentito leggere dal palco il suo comunicato, mi sono venute le lacrime agli occhi”, come se l‘espressione di Mattarella fosse una novità o un’allusione abrasiva verso il governo in carica. Informatelo che la dichiarazione del capo dello Stato, è la ripetizione pedissequa presente in tutti i suoi precedenti discorsi o dichiarazioni annuali in occasione degli anniversari della strage. Basta andare sul sito del Quirinale, dall’anno scorso incluso all’indietro. E peraltro La Russa a quello stesso concetto si è ispirato proprio perché fa parte del “magistero” consolidato di Mattarella. Vabbè. Questo mio si sforza di essere un “pezzo” di ragionamento politico, non una crassa replica di propaganda che nei giorni scorsi ha sovrabbondato per lanciare “accuse senza accusa” nei confronti della destra, ma è dura.

La verità giudiziaria e gli intellettuali dubbiosi: i casi Rossanda e Telese

Non mi metto qui a rifare l’elenco esatto degli uomini e donne “dubbiosi” della cultura e del giornalismo, delle più disparate estrazioni, di sicuro lontani e insospettabili, alcuni scomparsi, altri ancora “in servizio”. Solo alcuni, alla rinfusa: Marco Pannella, Liliana Cavani, Oliviero Toscani, Sandro Curzi, Marco Taradash, Giovanni Minoli, Giampiero Mughini, Paolo Mieli, Andrea Camilleri, Rossana Rossanda, Adriano Sofri, Fulvio Abbate, Ennio Romandino, Luca Telese, Francesco De Gregori, Luigi Manconi; sono solo alcuni intellettuali, che – utilizzo il logos di Prezzolini – si dichiararono apoti (quelli che non se la bevono): alcuni firmarono l’ appello “E se fossero innocenti”, chiedendo la revisione della sentenza di condanna di Fioravanti e Mambro; altri espressero pubblicamente perplessità sulla “verità giudiziaria” e sugli anelli mancanti.

Mi colpiscono, tra gli altri, gli interrogativi di Rossana Rossanda: “Ma perché questi segreti stati maggiori avrebbero deciso la strage il 2 agosto del 1980, cioè al momento in cui il Pci non solo sta fuori del governo, ma al massimo dell’isolamento, e se mai proprio un’emergenza potrebbe rimetterlo nel gioco?”, scrisse due giorni dopo la strage in un editoriale intitolato “La risposta” sul Manifesto. Tanti perché, tanti dubbi. Chiudo con Luca Telese che anima queste serate estive su La 7, ma autore del libro di successo “Cuori neri”. Ho quasi pudore a riportare ciò che scriveva appena due anni fa in occasione dell’anniversario della strage dal pubblico ministero Libero Mancuso, però é necessario. “Ma era ancora più inverosimile quello che mi stava raccontando Mancuso: e cioè che l’attentato alla sezione del Pci fosse, poco più di un anno prima, la prova generale della strage alla stazione. Ero molto stupito, perché avevo la certezza quasi matematica che quella di Mancuso fosse una grandissima superficialità, o addirittura una imperdonabile falsificazione”. (Tpi, 2 agosto 2020).

Telese sapeva bene e aveva scritto che l’assalto veniva compiuto, nello stesso giorno della morte di Francesco Cecchin, il ragazzo di destra assassinato come classica operazione di rappresaglia; “invece, per far quadrare i conti e creare una “prova retroattiva”, veniva riscritto, decontestualizzato e stravolto da Mancuso per dimostrare una tesi precostituita. Erano diversi i tempi (una rappresaglia del giorno stesso diventava una prova generale per un crimine di un anno dopo) e soprattutto gli strumenti: cosa avevano a che vedere i colpi di pistola e le bombe Srcm (di quelle trafugate da Fioravanti durante il suo servizio militare) dell’Esquilino con l’esplosivo devastante (una miscela di 5 chili di tritolo e T4 detta “Compound B”, potenziata da 18 chili di nitroglicerina a uso civile) utilizzato dai terroristi alla stazione di Bologna? Nulla. Dal punto di vista militare era come paragonare un tiro di fionda alla deflagrazione di una bomba atomica”. Mi scuso, per la lunga citazione, ma si commenta da se. Vogliamo mettere all’indice, pure il dubbioso Telese tra i “sospettabili”, accanto alla Meloni? Borges dice che il dubbio é uno dei nomi dell’intelligenza. Io penso che il diritto al dubbio è un diritto di libertà; anche politica. E non è il Filosofo col Martello che ci lascia detto: “La fede nella verità comincia con il dubbio in tutte le «verità » credute sino a quel momento”?
Ps: Dimenticavo: quanti premier sono andati agli anniversari della strage? Il Foglio ha dato un cattivo consiglio alla Meloni: ha fatto bene a non seguirlo. Inutile spiegare perché.

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