Quest’anno la Russia crescerà più della Germania o della Gran Bretagna e come Francia e Italia: persino il Corriere costretto ad ammettere che le sanzioni sono state una truffa contro l’Europa

Di Federico Fubini per Corriere.it

Tra qualche giorno i leader del G7 si riuniscono a Hiroshima, in Giappone, dove parleranno e si divideranno su uno dei temi più controversi della nostra epoca: le sanzioni alla Russia. Si tratta di un esperimento senza precedenti, mai prima un Paese così vasto e integrato nell’economia mondiale era stato colpito da misure così a tappeto. Con Alexandra Prokopenko, una collega del Center for East European and International Studies di Berlino e del Carnegie Endowment for International Peace, ex consigliera della banca centrale della Russia fino all’inizio della guerra ma da allora esule, abbiamo cercato di trarre un bilancio in un saggio per Project Syndicate. Lo traduco qui sotto. Raccontiamo le sanzioni viste da Occidente e da Mosca. Facciamo i conti degli effetti, parliamo (per nome) delle grandi imprese occidentali che in qualche modo mantengono rapporti d’affari con la Russia, raccontiamo cosa veramente pensano e come si muovono gli oligarchi russi colpiti dal blocco dei patrimoni e dei visti. Spero vi prendiate il tempo di leggere tutto, magari non in una volta (sono otto cartelle e mezza).

Da Microsoft a Uncem, sanzioni e falle nella rete

Quest’anno la Russia crescerà più della Germania o della Gran Bretagna e come Francia e Italia, secondo le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale. Dovrebbe quindi tenere testa, o superare, quattro dei Paesi del G7 che cercano di mantenere e rafforzare le sanzioni imposte sul regime di Vladimir Putin più di un anno fa (in foto, il presidente russo con l’omologo americano Joe Biden).
Il piano non era questo. La scorsa primavera, mentre Putin contava su una rapida vittoria militare in Ucraina, i leader occidentali pensavano che le armi economiche e finanziarie avrebbero potuto schiacciare la Russia. All’inizio dell’aprile 2022 Mario Draghi, da premier, espresse quest’idea quando difese l’embargo sulle fonti fossili russe dicendo che bisognava scegliere tra la pace e l’aria condizionata.
Per fortuna tutta questa fiducia nell’efficacia delle sanzioni non ha impedito agli Stati Uniti e ai governi europei di inviare armi e altri aiuti all’Ucraina. Ma l’idea iniziale era che il congelamento delle riserve valutarie russe detenute all’estero, le restrizioni sulle banche e sulle persone, la chiusura agli scambi di tecnologia e materie prime avrebbero portato l’economia russa al collasso. Di conseguenza, avrebbero potuto costringere Putin ad abbandonare la sua “operazione militare speciale” in Ucraina. Meno di due mesi dopo l’invasione, il Fmi prevedeva che l’economia russa sarebbe caduta dell’8,5% nel 2022 e del 2,3% quest’anno.

Da allora il Fondo ha rivisto le stime sul Pil russo per il 2022 e il 2023 di ben 9,4 punti percentuali al rialzo. Uno scarto di queste dimensioni non è frutto di un semplice errore di previsione, è il segno della sopravvalutazione da parte di noi occidentali della nostra capacità di controllare il commercio e altri aspetti strategici dell’economia globale. La realtà è che l’Occidente non domina più la globalizzazione. E i governi dei Paesi democratici hanno capito in ritardo che per i regimi revisionisti e autoritari la logica puramente economica non sempre viene prima. Putin ha portato avanti la sua guerra all’Ucraina incurante dei costi materiali e umani. E le élite economiche russe, benché inorridite, non hanno cercato di contenerlo.
Al contrario gli oligarchi hanno collaborato con Putin e la sua macchina da guerra, mentre in privato raccontavano agli stranieri che a loro le politiche del dittatore non piacciono. Non c’è niente di sorprendente in tutto questo: il rapporto fra il Cremlino e gli oligarchi si basa su una sorta di lealtà negativa, una caratteristica tipica della Russia di oggi e ormai anche dei rapporti a livello di (certe) imprese tra Russia e Occidente.

Le misure colabrodo

Del resto ormai sappiamo tutti perché le previsioni più ottimistiche sull’impatto delle sanzioni non si sono avverate. Cina, India, Malesia e Singapore hanno intensificato gli acquisti di petrolio russo e molte imprese occidentali hanno aumentato l’import di prodotti petroliferi che queste economie emergenti ricavano dal greggio degli Urali. La Cina, rafforzata nel suo nuovo ruolo di primo partner commerciale della Russia, fornisce ai russi semiconduttori, droni e altre tecnologie utilizzabili sia per scopi civili che militari. Paesi come la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, il Kazakistan, l’Armenia e altre ex repubbliche sovietiche stanno prosperando come intermediari tra gli esportatori occidentali e la Russia per qualsiasi cosa, dagli smartphone alle macchine utensili (dopo un crollo del 43% nei primi mesi della guerra, nel novembre 2022 le importazioni russe erano già tornate in gran parte ai livelli prebellici).
Allo stesso modo, gli interessi costituiti in alcuni Paesi hanno impedito all’Unione europea di vietare le importazioni di importanti prodotti russi come i diamanti e l’acciaio grezzo. L’anno scorso alcuni Paesi europei hanno raddoppiato gli acquisti di bramme d’acciaio semilavorato russo, sostituendo così le forniture degli stabilimenti ucraini ormai distrutti di Mariupol. L’Italia è diventata una grande importatrice di acciaio russo.
Inoltre, alcuni dei principali canali finanziari della Russia con l’Occidente sono rimasti aperti. Per esempio l’Unione europea non ha tagliato i rapporti con Gazprombank, nonostante le importazioni di gas dalla sua holding Gazprom siano quasi del tutto interrotte. A Cipro, Gazprombank è il terzo istituto di credito del Paese e continua a operare sotto la sorveglianza della Banca centrale europea.

Profitti senza onore

Inoltre, da quando la Russia è stata sottoposta a sanzioni nel 2014, dopo l’annessione illegale della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbas, alcune aziende occidentali mostrano a loro volta lealtà negativa verso i propri Paesi. In genere rispettano le sanzioni, ma alcune hanno trovato il modo di continuare a lavorare con profitto con le controparti russe: incluse le forniture a società che lavorano per il complesso militare-industriale di Mosca.
Il mese scorso, ad esempio, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti e l’Office of Foreign Assets Control del Tesoro degli Stati Uniti hanno imposto una multa di 3,3 milioni di dollari a Microsoft. Nel 2016 e nel 2017 una filiale di Microsoft aveva concluso accordi con due società russe sanzionate: una coinvolta nella costruzione del ponte di Kerch che collega la Russia alla Crimea e l’altra nella produzione di navi da guerra russe.
Un esempio più recente riguarda poi l’azienda italiana Danieli, grande fornitore di macchine utensili di precisione per la produzione di acciaio. Danieli ha annunciato il ritiro totale dalle operazioni in Russia e con la Russia solo una decina di giorni fa, dopo che il “Corriere” aveva rivelato che una delle sue filiali aveva fornito tecnologia per la produzione di acciaio al conglomerato russo Severstal lo scorso agosto (Danieli nega qualsiasi illecito e non è oggetto di alcuna azione legale). Severstal è un enorme conglomerato siderurgico, considerato un fornitore importante per i produttori di sottomarini, navi da guerra e veicoli blindati russi. Il capo e azionista di controllo della società, Alexey Mordashov, uno degli uomini più ricchi della Russia, è nell’elenco delle sanzioni dei Paesi occidentali da subito dopo l’invasione del febbraio 2022.

Altre due società quotate in borsa, la statunitense SLB (primo fornitore al mondo di servizi petroliferi), e l’italiana Buzzi Unicem (grande produttore di cemento), stanno utilizzando una scappatoia che consente alle loro filiali russe di continuare a operare. Nessuna società stabilita in Russia è tenuta a rispettare la legislazione occidentale, quindi ciò che SLB e Buzzi Unicem stanno facendo è perfettamente legale. E anche molto redditizio.
L’anno scorso le filiali russe di questi due gruppi hanno registrato un aumento del fatturato, probabilmente anche perché nel frattempo i loro concorrenti occidentali si erano volontariamente ritirati. SLB e Buzzi Unicem forniscono alla Russia prodotti fondamentali e, nel caso del petrolio, anche fonti strategiche di reddito. (Come Danieli, le due aziende negano qualsiasi illecito e non sono soggetta ad alcuna azione legale in patria).
Inoltre, l’ultimo rapporto del «Gruppo di lavoro internazionale sulle sanzioni contro la Russia», guidato da Andriy Yermak (capo dell’ufficio presidenziale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky), e da Michael McFaul (Stanford University), affronta la questione dei microchip occidentali trovati nei missili e nei droni russi sparati sull’Ucraina. Si legge nel rapporto: «I missili e i droni russi sono dotati di microchip di fabbricazione straniera adatti a Glonass (il sistema di navigazione satellitare russo, ndr) che li guida su obiettivi selezionati». E ancora: «Aziende straniere tra cui Linx Technologies, Qualcomm e STMicroelectronics, secondo quanto riferito, continuano a produrre microchip abilitati per Glonass e li vendono alla Russia attraverso numerose società di comodo, intenzionalmente o meno». Tutti questi gruppi sono basati negli Stati Uniti, ad eccezione della STMicroelectronics, controllata dai governi di Francia e Italia.

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