“Adesso per coerenza sai cosa devi fare?” Ranucci spara contro Benigni subito dopo l’ennesimo pistolotto pieno di fuffa e rancore: nel mirino una querela fatta a Report

La “coerenza” di Roberto Benigni. Il regista e comico toscano ha appena finito il suo monologo sulla Costituzione, apertura del Festival di Sanremo 2023 sotto gli occhi attenti di Sergio Mattarella seduto in prima fila, e su di lui arriva il fuoco amico di Rai 3. Clamoroso all’Ariston, si direbbe.

Le battute dell’ex Piccolo diavolo hanno addirittura strappato un ghigno al Capo dello Stato, qualcuno parla addirittura di sorriso. Terminato il suo intervento, Mattarella ha poi lasciato il teatro sanremese aprendo virtualmente il balletto dei commenti. Il più piccante arriva da Sigfrido Ranucci, conduttore di Report. “Molto toccante il monologo di Roberto Benigni al Festival di Sanremo sui 75 anni della nostra Costituzione – scrive su Facebook il giornalista -. Il maestro Benigni ha sottolineato come il suo articolo preferito sia l’articolo 21: ‘Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni censure‘.  Sono certo che per coerenza il maestro nei prossimi giorni ritirerà la querela che nel 2017 ha presentato nei confronti del sottoscritto, del collega Giorgio Mottola, della Rai e di Report“. Bella buccia di banana per viale Mazzini.

E’ un big della Rai, dunque, a rompere il clima ecumenico e “istituzionale” generato dalla presenza in contemporanea di Benigni e Mattarella. omaggiato dall’inno d’Italia intonato da Gianni Morandi che invita il pubblico a unirsi a lui. L’intervento più propriamente “comico” di Benigni ha avuto passaggi pepati su fascismo e regime (“Le faccio notare che lei è al secondo mandato – dice rivolgendosi al Capo dello Stato -, Amadeus al quarto e ha già prenotato il quinto. Ora mi dica lei: è costituzionale? Bisogna fermarlo”), prima di farsi serissimo tessendo le lodi della Costituzione italiana, che ha festeggiato i 75 anni, con lo stesso entusiasmo con cui racconta la Divina Commedia: “Un’opera d’arte che sprigiona una forza evocativa e rivoluzionaria”. E ancora, una puntata sull’Ucraina (“L’Italia ripudia la guerra”) e, appunto, sull’articolo 21 sulla libertà di espressione e di pensiero, concluso con un monito: “La cosa migliore per il futuro è ricordarsi di avere il passato bene presente”. Il passato, di sicuro, se lo ricorda bene Ranucci.

Facciamo un salto indietro del tempo, tornando al 2017. Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi erano finiti sotto la lente di ingrandimento di Report nell’inchiesta sui finanziamenti allo spettacolo. In una nota, l’avvocato Michele Gentiloni Silveri comunicò di “aver ricevuto mandato di sporgere querela presso la Procura della Repubblica di Roma nei confronti dei dott.ri Giorgio Mottola e Sigfrido Ranucci, nonché di chiunque altro abbia con loro concorso o cooperato, in relazione alle notizie false e gravemente diffamatorie diffuse nel corso della puntata nell’interesse di Nicoletta Braschi e Roberto Benigni sia in proprio che quali soci di Melampo Cinematografica S.r.l.”. Nell’inchiesta Report raccontò la vicenda degli studi di Papigno, in Umbria, dove Benigni ha girato “La vita è bella” e “Pinocchio”. Un polo cinematografico che – secondo il programma di Rai3 – avrebbe goduto di 16 milioni di euro di finanziamenti pubblici.

Il conduttore Sigfrido Ranucci replicò prontamente alle accuse mosse da Benigni: “Non abbiamo mai detto che Benigni ha usufruito di finanziamenti pubblici per ristrutturare gli studi di Papigno. I 10 milioni di fondi pubblici, citati dal sindaco di Terni, sono serviti per bonificare e sistemare il contesto intorno all’operazione. Il programma ha dato conto del fatto che Cinecittà Studios ha di fatto ‘rilevato’ i 5 milioni investiti da Benigni nella società, pur pagandone solo 3,9 milioni, come ha precisato una nota del legale di Benigni che abbiamo letto. Abbiamo poi sostenuto che quel debito rischiamo di pagarlo noi, se dovesse andare in porto la trattativa per riportare Cinecittà sotto l’egida dello Stato”.

Benigni, comunque, non ha fatto arrabbiare solo Ranucci, ma anche alcuni telespettatori, soprattutto per un passaggio abbastanza forzato sul fascismo: “Allora neanche Sanremo si poteva fare”, dice. E sui social infiamma la polemica: “Cosa c’entra il fascismo con Sanremo? Che palle!”, “Benigni che ha fatto un film come capolavoro, ‘La vita è bella’, ancora parla di fascismo, intanto in Italia inflazione e bollette alle stelle, povera Italia e povero menefreghismo”, “Figuriamoci se non partiva il solito pippone contro il fascismo”, “Benigni è la rappresentazione della sinistra italiana, capace di inserire la critica al fascismo in tutti i suoi discorsi”.

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