Sinisa Mihajlovic e’ morto. Lo annuncia all’ANSA la famiglia del tecnico serbo.
«La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel.dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessndro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato»
BIOGRAFIA DI SINISA MIHAJLOVIC
Da www.cinquantamila.it – la storia raccontata da Giorgio Dell’Arti
Sinisa Mihajlovic, nato a Vukovar, in Croazia, il 20 febbraio 1969. Allenatore. Ex calciatore • «Il sergente» • Centrocampista e difensore. Uno dei calciatori più bravi a battere le punizioni di tutti i tempi: «Sono la sua specialità. Parabole improbabili, mai uguali, colpi da artista costruiti con la perseveranza dell’artigiano, sfruttando le doti rare del suo sinistro con traiettorie che regalano stupore» (Gianni Piva, la Repubblica, 14/2/2005)
• «Sono cresciuto per strada. Ora so comportarmi da signore, ma la linea con il ragazzo di strada può essere sottile. Si dice che bisogna contare fino a 10, no? Quando giocavo ero a 1-2, adesso sono a 4-5, a 10 non ci arriverò mai» • «Penso al calcio 24 ore su 24: è la mia passione e mi fa stare bene» (Marco Mathieu, la Repubblica, 2/1/2017)
• Ha esordito nel Vojvodina a diciannove anni. Poi ha giocato con la Stella Rossa di Belgrado (dal 1990 al 1992), con la Roma (dal 1992 al 1994), con la Sampdoria (dal 1994 al 1998), con la Lazio (dal 1998 al 2004) e con l’Inter (dal 2004 al 2006) • Ha vinto tre campionati jugoslavi (1989, 1991, 1992), due campionati italiani (2000, 2006), tre supercoppe italiane (1998, 2000, 2005), quattro coppe Italia (2000, 2004, 2005, 2006), una coppa dei campioni (1991), una coppa intercontinentale (1991), una supercoppa Uefa (1999) • Dopo il ritiro, ha allenato l’Inter, il Bologna, il Catania, la Fiorentina, la nazionale serba, la Sampdoria, il Milan, il Torino, lo Sporting Lisbona. Dal 2019 è per la seconda volta tecnico del Bologna
• «Quando si è fermato qualche secondo a guardare fisso davanti a sé dopo aver pronunciato la parola “leucemia”, con lui abbiamo pianto tutti. Non che Siniša Mihajlovic abbia mai avuto bisogno di motivazioni in vita sua, da quando da bambino andava in un campo dove c’erano due porte senza reti e tirava da una parte all’altra fino a sera, e si divideva col fratello un’unica banana (tanto che quando è diventato ricco ha detto alla madre che avrebbe comprato un camion di banane), a quando più grande ha visto la guerra fratricida in casa, le famiglie disgregate, gli amici che si sparavano tra di loro, lo zio, croato, fratello della madre, che voleva “scannare come un porco” suo padre.
Tra le macerie di Vukovar è nato il Siniša guerriero, quello che conoscono tutti, quello che “più stress c’è, più mi piace”, perché con quello che ha visto nella vita, cosa volete che siano le ansie del pallone?, che siano vincere da calciatore con Lazio e Inter o salvare da allenatore il Bologna. E quello che ieri ha alzato la testa per guardare dritta negli occhi la malattia e sfidarla come fosse uno dei tanti avversari incontrati e battuti sul campo: “Io la malattia la rispetto, ma vincerò, con la mia tattica, aggredendo e attaccando alto”» (Arianna Ravelli, Corriere della Sera, 14/7/2019).
Titoli di testa «Le palle uno le ha o non le ha. Però l’allenatore deve farsi seguire. Io sono sicuro che se dico ai miei di buttarsi dal tetto loro prima lo fanno e poi mi chiedono perché» (Arianna Ravelli, Corriere della Sera, 29/1/2015)
Vita «Mio padre faceva il camionista. È morto a 69 anni, di tumore ai polmoni. Quando se n’è andato io non c’ero. Ci penso tutti i giorni. Durante la guerra lo imploravo di venire in Italia ma volle restare nel suo Paese» (a Andrea Di Caro, Gazzetta dello Sport, 20/2/2019) • La madre lavorava in una fabbrica di scarpe
• Primo di due fratelli, Siniša cresce nella Jugoslavia di Tito. «Ero piccolo quando c’era lui, ma una cosa ricordo: del blocco dei Paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Andavano a fare spese a Trieste delle volte. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando […]
Sotto Tito t’insegnavano a studiare, per migliorarti, magari per diventare un medico, un dottore e guadagnare bene per vivere bene, com’era giusto. Oggi lo sapete quanto prende un primario in Serbia? 300 euro al mese e non arriva a sfamare i suoi figli. I bimbi vedono che soldi, donne, benessere li hanno solo i mafiosi: è chiaro che il punto di riferimento diventa quello» (a Guido De Carolis, Corriere di Bologna, 23/3/2009)
• «Se non avessi incontrato il calcio, avrei fatto il ladro, il pugile, niente di buono» • «Comincia la sua carriera in Jugoslavia: prima al Vojvodina, sua città natale (75 presenze e 20 reti), poi alla Stella Rossa di Belgrado (36 presenze e 13 reti)» (Linkiesta, 16/9/2019)
• «A Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. È come se oggi i bolognesi decidessero di far piazza pulita dei pugliesi che vivono nella loro città» (a De Carolis) • «Ricordo lo sguardo di due ragazzini di 10 anni, imbracciavano i mitra. Avevano occhi da uomini in corpi da bambini. Occhi tristi che avevano già visto tutto, tranne l’infanzia» (a Di Caro)
• «Ho visto la mia gente cadere, le città distrutte: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Mio zio, croato e fratello di mia madre, voleva “scannare come un porco”, disse così, mio padre serbo. Fu trovato dalla tigre Arkan, stava per essere ucciso, gli trovarono addosso il mio numero di cellulare, gli salvai la vita» (ibidem) • «Arkan venne a difendere i serbi in Croazia. I suoi crimini di guerra non sono giustificabili, sono orribili, ma cosa c’è di non orribile in una guerra civile?» (a De Carolis)
• «Dovranno passare due generazioni prima di poter giudicare cosa è accaduto. È stato devastante per tutti. Quello che racconto io, lo può raccontare anche un croato o un bosniaco. Abbiamo vissuto un impazzimento della storia» (a Andrea Di Caro, Gazzetta dello Sport, 20/2/2019)
• «Quando ero più giovane avevo perennemente bisogno di dividere il mondo in ‘noi’ e gli ‘altri’. Mi caricava. Alcuni storici lo definiscono bisogno del nemico» (a Andrea Di Caro, Gazzetta dello Sport, 20/3/2015) • «Il 29 maggio del 1991, allo stadio San Nicola di Bari, la sua più grande vittoria come giocatore: vince infatti la Champions League con la maglia della Stella Rossa. Da quel momento, per 21 anni, rimarrà sempre in Italia» (la Repubblica, 13/7/2019)
• Diventa un grande giocatore. Milita due stagioni nella Roma, quattro nella Sampdoria, sei nella Lazio • «È l’apice della carriera: con i biancocelesti Mihajlovic vince un campionato, due Supercoppe Italiane, una Supercoppa Europea, una Coppa delle Coppe e due Coppe Italia» (Linkiesta) • «Come dice Boskov: uno stadio senza tifosi è come una donna senza seno. La curva Nord di quando giocavo io aveva un seno meraviglioso» (a Luca Valdiserri, Corriere della Sera, 4/4/2014)
• «Hanno calcolato che il suo tiro di media viaggia a 165 km/h, a volte supera i 200. Il segreto? Baricentro basso e quel piedino da 41 e mezzo, una stranezza per uno alto 1,85» (Giulio Cardone, la Repubblica, 15/8/2003) • «Ogni volta che segno io c’è qualcuno che dice che la palla è entrata per una papera del portiere» (a Elisabetta Esposito, La Gazzetta dello Sport, 15/10/2003) • «Conclude all’Inter, dove a 35 anni è il giocatore più anziano ed esperto: due stagioni in cui totalizza 43 presenze e sei gol. A conti fatti, è una carriera memorabile, che conta 563 partite, tra Italia, Jugoslavia, squadre di club e nazionale. E 96 gol» (Linkiesta, 16/9/2019)
• Diventa allenatore. «Dapprima per due anni come vice nel club nerazzurro, quindi in Italia ha guidato Bologna, Catania, Fiorentina, Sampdoria, Milan, Torino e ancora Bologna, panchina sulla quale si è seduto a gennaio riuscendo a portare la squadra alla salvezza. Ha guidato anche la nazionale serba tra 2012 e 2013, fallendo la qualificazione ai Campionati del Mondo del 2014» • «Da quando ho cominciato la carriera di allenatore non ho mai smesso di studiare, aggiornarmi, mi confronto con colleghi stranieri, leggo tanto. Mi è servito tutto, anche qualche esperienza meno fortunata. Non si finisce mai di crescere. Vale per me come per la mia squadra».
Polemiche Nel 2000 disse «nero di merda» a Patrick Vierà, dell’Arsenal • Nel 2003 sputò a Adrian Mutu, del Chelsea • «Parliamo tanto di razzismo in Italia, ma non più solo bianco o nero. Anche zingaro, o serbo di m… Si parla di razzismo solo con bianchi e neri, se si tocca un popolo intero va tutto bene. Ma questa è l’Italia. Comunque, chi mi ha chiamato zingaro lo aspetto, me lo venga a dire in faccia. Sanno dove vivo, vediamo se hanno le palle» (la Repubblica, 7/5/2017).
Vita privata Nel 1993 ha avuto un figlio, Marco, da una donna che lo ha lasciato prima di partorire. Mihajlovic l’ha riconosciuto • Sposato dal 2005 con Arianna Rapaccioni, romana, ex valletta, conosciuta in un ristorante della capitale nel 1995, quando lui giocava nella Lazio. Prima non era mai stato innamorato • «L’ho guardata e ho pensato: se avessi dei figli con lei, chissà come sarebbero belli» • «Ne sono venuti cinque, Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, uno più bello dell’altro, in effetti» (Ravelli 2019)
• «Ha detto che le donne non capiscono di calcio, poi che il Toro gioca da maschio in casa e da femmina in trasferta. Non è il caso di cambiare linguaggio? “No, io non ho generalizzato, ho detto che non tutte le donne capiscono di calcio. Quanto all’altra frase, mi dispiace se qualcuno si è offeso, ma è un modo di dire. E poi “squadra femmina” nel senso di bella, ma volubile e distratta, lo diceva Gianni Brera. Guardi che io penso che le donne siano più forti: mia moglie ha partorito cinque figli e in casa mia comanda lei”» (Arianna Ravelli, Corriere della Sera, 14/11/2016) • «È una donna con le palle, forse ne ha più di me. E non è facile».
Vita pubblica «Il Kosovo è Serbia. Punto. Non si possono cacciare i serbi da casa loro. No, l’indipendenza non è giusta per niente» (a De Carolis) • Poco prima delle elezioni regionali in Emilia-Romagna del 2020 ha detto di stimare Matteo Salvini. «Ci siamo visti l’altro giorno. È stato un incontro più che piacevole. Lui è mio amico, ci conosciamo da tanti anni, dai tempi del Milan. Mi piace la sua forza, la sua grinta, è un combattente. Matteo è uno tosto, fa quello che fanno i grandi nel calcio: se promette, mantiene. I grandi uomini fanno questo, nello sport e nella politica» (al Resto del Carlino).
Ricordi «Vukovar per me era la città più bella del mondo. Poi è diventato simbolo della guerra. Ci sono tornato due anni fa, dopo 25 anni… L’ultima volta era stata durante il conflitto nel 1991. Era tutto raso al suolo […] Non volava un uccello, non c’era un cane. Spettrale».
Ultime «Due giorni passati in camera a piangere, senza rispondere a nessuno, con tutta la vita che ti passa davanti» • Il 13 luglio 2019 tiene una conferenza stampa a Bologna in cui rivela di avere la leucemia • «Io credo che voi pensaste che la persona più lontana dalla malattia potessi essere io: grosso, forte, un atleta. Ho passato l’estate a giocare a padel. Bene, può colpire tutti e in un attimo ti cambia la vita. Per questo la prevenzione è fondamentale»
• «Ho fatto tredici chemioterapie in cinque giorni, ma già dopo il terzo avevano annientato tutto. Il primo ciclo è stato il più pesante, mi sono venuti anche degli attacchi di panico che non avevo mai avuto perché ero chiuso in una stanza con l’aria filtrata: non potevo uscire e stavo impazzendo. Volevo spaccare la finestra con una sedia, poi mia moglie e alcuni infermieri mi hanno fermato, mi hanno fatto una puntura e mi sono calmato»
• «Stavo male ma dovevo dare forza alla mia famiglia, perché se mi avessero visto abbattuto sarebbe stato peggio. Cercavo di essere positivo e sorridente, facevo finta di niente per non farli preoccupare. È stata dura» • Ricoverato all’ospedale Sant’Orsola segue le partite in diretta streaming • «Ha parlato al gruppo in videoconferenza prima della gara, l’ho sentito all’intervallo e durante la ripresa comunicava via microfono al collaboratore video, che riferiva a me immediatamente»
• «Il carisma di Mihajlovic lo percepiamo comunque, anche se materialmente non è con noi» • I tifosi intonano cori sotta la finestra dell’ospedale. Lui si affaccia e li saluta • Il 25 agosto 2019, dopo 44 giorni dal ricovero, è seduto in panchina nella gara d’esordio del campionato con l’Hellas.
Curiosità Legge Gandhi • Ammira Kennedy ma ce l’ha con gli americani perché hanno bombardato la Serbia • Gli piacciono tutti i generi di film, «meno quelli sentimentali che vede mia moglie, anche se poi mi emoziono facilmente e piango spesso» • «I giocatori ora fanno gli attori, hanno belle macchine, belle ragazze, il calcio sembra un hobby. Non è neanche facile motivare uno che ha tutto. Su 24 ore 10 dorme, 3-4 si allena, le altre 10 che fa? Io gli do una partita da vedere, oppure un film, come La ricerca della felicità. Se lo ricorda? “Non devi permettere a nessuno di dirti che non puoi raggiungere i tuoi sogni”. A volte il film lo scelgono loro» (alla Ravelli, 2015)
• Ai suoi calciatori fa vedere anche Il gladiatore, Alexander e Il volo della Fenice • È stato in pellegrinaggio a Medjugorje • «Quando si parla di sogni non penso ad alzare una Champions League o uno scudetto. Il mio è impossibile: poter riabbracciare mio padre» (a Di Caro)
• Ilaria D’Amico dice che usa troppe parolacce: «C’è il momento per citare Dante e c’è quello per parlare come i ragazzi. Bisogna farsi capire in tutte le situazioni» • Parla inglese «Dicono che le lingue si imparano meglio da giovani, ma l’età vera la decidi tu. Io sarò giovane anche a 70 anni» • «Oggi non ho bisogno di nemici».
Titoli di coda «Non penso di essere un eroe, sono un uomo normale con pregi e difetti. Ho solo affrontato questa cosa per come sono io, ma ognuno la deve affrontare come vuole e può. Nessuno deve vergognarsi di essere malato o di piangere. L’importante è non avere rimpianti e non perdere mai la voglia di vivere e di combattere».
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