Voti Meloni e ti ritrovi Draghi! La Ducetta se vince ha comunque bisogno della ‘protezione’ del drago: se non lo avete capito, provate a leggere cosa dice persino La Stampa

Francesco Olivo per “La Stampa”

SEMPRE MENO “DUCETTA”, SEMPRE PIÙ “DRAGHETTA”

– I RAPPORTI TRA GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI SONO OTTIMI. SI SENTONO SPESSO E LA PENSANO ALLO STESSO MODO SU MOLTI DOSSIER: POLITICA ESTERA, ENERGIA E DEBITO PUBBLICO

– “MARIOPIO”, DA PAR SUO, STA TOGLIENDO LE CASTAGNE DAL FUOCO A “GIGIONA” SU “ITA” E BALNEARI: IL PROSSIMO GOVERNO TROVERÀ I NODI GIÀ SCIOLTI, E LEI POTRÀ DIRE DI NON AVER TRADITO LE PROMESSE

– LA “SORELLA D’ITALIA” HA BISOGNO DELLO SCUDO DI SUPER-MARIO PER MOSTRARSI AFFIDABILE. E A LUI FA COMODO GIORGIA PER RESTARE IN CAMPO E SPERARE ANCORA NEL QUIRINALE…

I sondaggi sono così chiari che ormai nei palazzi si immagina già la scena della campanella. Tutti concordano: il giorno del passaggio di consegne tra Mario Draghi e Giorgia Meloni non sarà soltanto sereno, ma persino cordiale, «ci saranno sorrisi», prevedono sia gli uscenti che gli entranti.

Mentre la campagna elettorale deve ancora entrare nel vivo, si pensa già al dopo, con l’obiettivo di una transizione morbida. Il capo del governo e la presidente di FdI, è noto, si parlano spesso, un’interlocuzione fluida nata sin dai primi giorni di vita dell’esecutivo, diventata costante grazie all’appoggio dell’opposizione alle scelte italiane sulla guerra in Ucraina.

Ora siamo in una fase diversa, ci sono dei dossier che passeranno presto di mano, scelte strategiche da portare avanti e un posizionamento geopolitico da non mettere in discussione. La situazione è drammatica per famiglie e imprese, «tremano i polsi all’idea di governare» dice Meloni e le telefonate si intensificano, comprese quelle con il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che potrebbe rimanere al suo posto anche nella prossima legislatura. Il filo rosso non si interrompe.

Sulla carta si avvicenderanno governi molto diversi, per natura, uno tecnico e l’altro politico, e per approccio ideologico, da un premier banchiere di ispirazione liberaldemocratica si passa a una presidente nazionalista, con un passato di destra dura.

Eppure, tra le mille diversità, e forse proprio per l’assenza di concorrenza diretta, tra i due c’è una certa sintonia, non solo personale, maturata nel corso dell’ultimo anno e mezzo, ma, in fondo, anche politica, almeno su alcune grandi questioni: politica estera (sostegno all’Ucraina) energia (negoziato per un Recovery europeo) e debito pubblico (no allo scostamento).

Nei comizi in giro per l’Italia, l’ultimo ieri a Perugia, Meloni dal palco attacca il «governo dei migliori», ma evita ogni accusa al presidente del Consiglio, seguendo una linea tenuta sin dalla nascita dell’esecutivo: accusare la maggioranza, ma non il premier. C’è chi vede in questo rapporto anche una convenienza reciproca, all’una fa comodo avere uno scudo dal prestigioso leader europeo, e all’altro può servire avere un sostegno a Palazzo Chigi in vista di nuove possibili avventure, in Europa (presidenza della Commissione, del Consiglio Ue) o in Italia, (il sogno del Quirinale potrebbe tornare vivo, specie in caso di riforma presidenzialista).

Nel quadro dirigente di Fratelli d’Italia, quando si affronta il tema, tutti citano la stessa cosa: il discorso di Draghi a Rimini dello scorso 24 agosto. Nel suo intervento davanti alla platea di Comunione e Liberazione il presidente del Consiglio, dopo aver criticato duramente ogni tentazione sovranista, ha detto: «Sono convinto che il prossimo governo, qualunque sia il suo colore politico, riuscirà a superare quelle difficoltà che oggi appaiono insormontabili: l’Italia ce la farà».

Mentre il centrosinistra denunciava il pericolo nero, è la lettura che ne fanno a destra, il premier ha voluto dire che non si corre alcun rischio. Ma il circolo ristretto di Meloni ha apprezzato anche la fine di quel discorso, dove si sottolineava in sostanza come l’agenda Draghi, rivendicata dal Terzo Polo e in parte dal Pd, fosse un’astrazione, e che l’unica agenda che conterà è quella che decideranno i cittadini italiani con il voto.

Parole che servono, oltre che per uno sdoganamento interno, anche come un garanzie verso le cancellerie occidentali. Tra i Fratelli d’Italia la convinzione di queste ore è che l’unico ostacolo possibile a una vittoria elettorale possa arrivare dall’estero e in questo senso lo scudo di una figura dal prestigio riconosciuto come l’ex presidente della Bce gioca un ruolo decisivo: «La sinistra è stupita dal fatto che Draghi non stia avvelenando i pozzi», dice un dirigente di FdI che segue da vicino la vicenda.

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Gli esponenti di via della Scrofa che stanno immaginando già l’approdo a Palazzo Chigi hanno una consapevolezza, sebbene inconfessabile: l’attuale governo sta togliendo le castagne dal fuoco a quello che verrà.

Due esempi tra tutti, la scelta dei nuovi partner stranieri di Ita, con una presenza dello Stato (Certares) molto rilevante e persino quella della liberalizzazione delle licenze dei balneari. Vicende spinose, sulle quali FdI ha fatto opposizione dura, che però, una volta arrivata al potere, si troverà già quasi risolte. Il nuovo governo avrà tempo per intervenire su alcuni dettagli prima delle gare degli stabilimenti balneari, ma il principio fissato dall’Ue e dal Consiglio di Stato non potrà più essere messo in discussione.

E quindi, nessuna promessa tradita agli occhi delle associazioni. Stesso discorso si può fare per il rigassificatore di Piombino, un progetto strategico, secondo Draghi, avversato dal sindaco della città toscana di Fratelli d’Italia. Il calendario rivela che la scelta sarà praticamente irreversibile una volta che Meloni avrà preso possesso della sua nuova (probabile) carica. A quel punto l’argomento sarà quello delle compensazioni verso il territorio, ma senza smontare un’opera considerata fondamentale per l’approvvigionamento energetico.

Per affrontare la crisi del gas la ricetta di Meloni, ribadita ieri a Perugia, è, al di là delle critiche all’Europa, sostanzialmente in linea con quella di Draghi: «Bisogna staccare il prezzo dell’elettricità da quello del gas. Si può fare subito, è una scelta politica». Da Fratelli d’Italia (e anche da Palazzo Chigi) si cerca di togliere enfasi alle suggestioni: «Non c’è alcun avvicinamento tra Draghi e Meloni – dice il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma del partito -, in un contesto impazzito come questo, il fatto che due persone normali e civili si parlino, le fa sembrare più vicine di quello che sono».

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Le affinità, però, emergono anche sulle misure fiscali. Nel programma elettorale di FdI si propone lo stralcio delle cartelle fino a tremila euro, una misura molto simile a quella che fece il governo Draghi pochi giorni dopo la sua nascita. La sintonia ha bisogno di una condizione: il divario di Fratelli d’Italia con la Lega deve essere consistente. In caso contrario tornerà in gioco Matteo Salvini e allora agende e campanelle andrebbero ridiscusse.

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