di Christian Campigli per Il Tempo
A volte ritornano. E sono pronti a riprendersi il ruolo di condottiero, di salvatore della sconquassata baracca, di leader senza macchia. Alessandro Di Battista esce dal letargo e attacca, senza mezzi termini, l’ex amico, Luigi Di i Maio .”Non ha un voto. Chi conosce il fanciullo di oggi, lo evita. Trasformista, disposto a tutto, arrivista, incline al più turpe compromesso pur di stare nei palazzi. PerchĆ© il Pd dovrebbe concedergli il ‘diritto di tribuna’, un modo politicamente corretto per descrivere il solito paracadute sicuro, tipo Maria Elena Boschi candidata a Bolzano nel 2018? PerchĆ©? Che rassicurazioni ha avuto mesi fa, quando portava, insieme a Beppe Grillo, il M5s tra le braccia di Mario Draghi? Queste sono domande che dovrebbero avanzare i giornalisti”.
Parole pesantissime, quelle pensate e scritte, nero su bianco, sulla propria pagina Facebook, dal Che Guevara di Roma Nord. “I giornalisti a Di Maio non chiedono nulla. Lo trattano come Mazzarino nonostante abbia dilapidato un consenso colossale costruito con il sudore della fronte anche (e soprattutto) di persone che non hanno chiesto mai nulla in cambio. Carlo Calenda che fino a poche ore fa fingeva attacchi di orticaria al solo sentir pronunciare il nome di Di Maio sta zitto e buono. Ha ottenuto poltrone su poltrone e gli basta cosƬ. La politicaĀ – prosegue l’ex deputato M5s –Ā ridotta a un ufficio di collocamento. Il Di Maio che ricordo io, ai tempi dell’onestĆ intellettuale o della fraudolenta recitazione, detestava il Pd come null’altro. Oggi, a quanto pare, il suo nome comparirĆ sotto il simbolo del Pd. Beh, se cosƬ fosse vi sarebbe una ragione in più per non votarli e per non avere nulla a che fare con loro”.
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Una sorta di dichiarazione di intenti, di invito ai grillini a mantenere lo spirito movimentista della prima ora. “Questa ĆØ la politica politicante, ciò che più impedisce il cambiamento,Ā ciò che ĆØ più distante dalle esigenze dei cittadini, dai loro drammi. Ciò che – avverte Di Battista – più allontana gli italiani dalle urne. Ciò che più indebolisce quel che resta della democrazia”.