Elezioni anticipate, ma vitalizio salvo per un pelo. Unica consolazione: un pezzo se lo dovranno pagare di tasca propria con un piccolo (proporzionato ai loro stipendi) sacrificio

Lo avranno il vitalizio, ma un pezzo se lo dovranno pagare di tasca propria, senza più avere lo stipendio. È la piccola beffa cui andranno incontro i parlamentari di prima nomina (circa il 70% del totale) a causa della fine anticipata della legislatura. Il rischio di non percepire il vitalizio è stato scongiurato grazie al fatto che la prima convocazione del nuovo Parlamento avverrà dopo la data del 24 settembre, ossia dopo 4 anni 6 mesi e un giorno dall’inizio della legislatura, come da regolamento. Nessuna occulta strategia della Casta a riguardo: la data del 25 settembre come giorno di elezioni non è stata scelta in quanto primo giorno utile per percepire il vitalizio.

PRIMA CONVOCAZIONE E questo perché, lo ribadiamo, a far testo non è il giorno del voto ma quello della prima convocazione del nuovo Parlamento, che sarà inevitabilmente diversi giorni dopo le elezioni (il 15 ottobre). A questa buona notizia per i parlamentari se ne somma una un po’ meno buona e cioè il fatto che l’ultimo pezzo di contributi per il vitalizio dovranno pagarselo loro, in assenza di stipendio. Per l’esattezza, considerando che l’indennità parlamentare lorda per i deputati (e, analogamente, per i senatori) è di 10.435 euro e che essi devono versare un contributo mensile pari all’8,8% dell’indennità, ne deriva che ogni parlamentare di prima nomina dovrà destinare circa 918 euro al mese fino alla chiusura naturale della legislatura, il 23 marzo 2023; in tutto, quindi circa 5.510 euro a testa. Ecco quanto è costata la fine anticipata della legislatura ai parlamentari interessati dalla questione.
Che non sono mica pochi. A Montecitorio i deputati di prima nomina sono il 68%, a Palazzo Madama i senatori il 73%. Il che significa 230 senatori e 428 deputati. Moltiplicando la quota di contributi versati di tasca propria per 658 parlamentari, si ottiene la cifra di 3 milioni e 625mila euro che lo Stato risparmierà, trattandosi di una pensione pagata dagli stessi senatori e deputati (se si considera invece il totale delle indenità non pagate fino a marzo a tutti i parlamentari, lo Stato risparmierà 60 milioni). Ora, per carità, 5.510 euro sono una piccola somma rispetto al totale di 50mila euro di contributi versati fino ai 4 anni 6 mesi e un giorno. E anche rispetto all’indennità che hanno percepito fin qua ogni mese.
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GARANZIA ASSENTE Però, vuoi mettere, tirare avanti per altri sei mesi avrebbe consentito alla gran parte dei parlamentari di non doversi pagare il contributo senza più percepire la paga mensile. Per loro sarebbe stata una discreta garanzia, se si pensa che molti non hanno un lavoro e che molti di più – visto il taglio di deputati e senatori e il crollo nei sondaggi del partito cui fanno capo tanti di loro (leggi M5S) – non verranno rieletti. Il triello Draghi-Conte-Salvini nascondeva insomma un discreto bottino di soldi. Se fosse un film sarebbe “Per qualche migliaio di euro in più”.

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