Il capolavoro del compagno Scalfarotto: prima insulta l’Ungheria per aver incatenato la “povera” Salis, poi si accorge, nonostante sia stato per parecchio tempo Sottosegretario, che anche in Italia accade lo stesso

Estratto dell’articolo di Franco Bechis per www.open.online

Era stato fra i primi nel parlamento italiano a sollevare con una interrogazione nel 2023 il caso delle condizioni di detenzione in Ungheria di Ilaria Salis. Il renziano Ivan Scalfarotto è stato anche fra i primi a indignarsi (giustamente) a inizio anno quando si è vista condurre la Salis in udienza con le manette ai polsi e una catena con cui veniva accompagnata in aula.

Per questo Scalfarotto ha voluto andare a fine marzo in Ungheria in occasione della successiva udienza del processo, rivedendo manette ai polsi e catena che lo hanno fatto indignare ancora di più tuonando contro il regime ungherese che tratta così in udienza gli imputati e indignandosi per l’amicizia fra Giorgia Meloni e quell’autocrate illiberale di Viktor Orbán. Scalfarotto però poi deve avere capito che il regime ungherese c’entra fino a un certo punto, perché quelle manette ai polsi in aula sono piuttosto frequenti anche in Italia.

Il 3 aprile scorso così Scalfarotto ha depositato in Senato un suo disegno di legge per modificare «il codice penale e le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, al fine di tutelare la libertà personale dell’imputato durante le udienze».

Il testo del ddl (n.1093) è stato svelato venerdì 3 maggio con la pubblicazione necessaria alla sua assegnazione alla commissione giustizia di palazzo Madama. Il testo è composto da due soli articoli. Il primo stabilisce che «l’imputato assiste all’udienza al fianco del proprio difensore, senza manette ai polsi ovvero altri strumenti coercitivi che ne limitino la libertà, anche se detenuto, slavo che sussista un concreto pericolo di fuga o di violenza che ne motivi l’applicazione».

Il secondo articolo specifica che pure in questi casi in cui si ravvisi il pericolo di fuga o di atti violenti «il giudice può con ordinanza motivata disporre l’adozione di specifiche misure per prevenirli, in ogni caso diverse dall’uso delle manette ai polsi o di altri strumenti coercitivi quali celle».

Dunque ora viene chiesto all’Italia di fare quello che si chiedeva all’Ungheria, scoprendo che il caso Salis non è così isolato nemmeno qui. Lo spiega bene Scalfarotto nella relazione che accompagna il suo ddl: «Nei tribunali italiani è frequente osservare che l’accompagnamento dell’imputato in aula con le manette ai polsi e costretto con esse ad assistere al proprio processo ovvero ad assistervi all’interno di gabbie o di perimetrazioni coercitive».

Non è raro, è addirittura «frequente» a leggere Scalfarotto trattare a Milano come a Roma come in tutte le aule giudiziarie del paese un detenuto esattamente come è stato fatto con la Salis in Ungheria. E il senatore aggiunge: «Di fatto, nonostante il nostro ordinamento preveda l’utilizzo di questi strumenti solo come eccezione, nelle aule di tribunale si assiste con frequenza ad immagini di imputati ammanettati o reclusi in gabbie durante le udienze».

[…] Il disegno di legge vuole vietare manette e gabbie anche per i detenuti che potrebbero commettere in aula atti di violenza, ma non offre soluzioni alternative che invece sono affidate alla fantasia dei poveri giudici che vi devono provvedere. Adesso però dopo la certificazione addirittura in un disegno di legge parlamentare sul fatto che le regole di Orban sono identiche a quelle italiane e che qui nessun governo se ne è mai occupato indipendentemente dal suo colore politico, bisognerebbe per par condicio riaprire le liste delle europee e candidare tutte le e i Salis d’Italia.

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