Ucraina, Biden ha calato le braghe e mandato gli emissari da Putin per chiudere la guerra: al primo punto il benservito al burattino. Quindi una piccola manfrina concordata. Ma Crimea e Donbass rimarranno sotto il cappello di Mosca

tratto da dagospia.com

Siete curiosi di sapere come finirà la guerra in Ucraina? Lo scenario più probabile è questo: l’armata russa avanzerà ulteriormente in territorio ucraino, entro le prossime due settimane il Congresso americano approvera’ gli aiuti militari a Kiev e, infine, Putin imporrà alle sue truppe di fare qualche passo indietro.

In questo gioco del gambero, due passi avanti e uno indietro, come concordato dalle intelligence americana e russa, si troverà la mediazione finale per arrivare a una tregua.

Questo, almeno, è ciò che hanno in mente gli americani. Per raggiungere l’obiettivo, bisognerà far scendere a miti consigli i vertici ucraini, che sognano ancora la sconfitta di Mosca sul campo di battaglia.

Bisognerà ammorbidire soprattutto Volodymyr Zelensky, che in questi due anni e due mesi di guerra ha:
1) invocato la vittoria finale contro la Russia come unica via d’uscita dal conflitto;
2) ha promesso di restituire al suo Paese la Crimea e il Donbass (occupati dal 2014);
3) ha definito inaccettabile qualsiasi concessione territoriale al Cremlino.

Davanti a queste prese di posizione, come potrà Zelensky essere l’uomo a cui delegare la firma della resa, per quanto onorevole, dell’Ucraina?

In questo scenario, l’ex comico potrebbe decidere di dimettersi un attimo prima della firma dell’accordo di pace, e aprire la strada a nuove elezioni. Un passo indietro da offrire all’opinione pubblica del suo paese come il gesto di un “padre della patria”: pur di chiudere la guerra, mi faccio da parte.

Putin ne sarebbe ben lieto, visto che non ha nessuna voglia di sedersi al tavolo delle trattative con Zelensky e, sotto sotto, sogna ancora la presa del potere a Kiev da parte di un suo fantoccio, come è stato fino al 2014 con Victor Yanukovich.

L’unico punto di disaccordo che va chiarito prima di una tregua è il tanto evocato ingresso dell’Ucraina nella Nato: per i vertici di Kiev è un punto irrinunciabile, per Putin una linea rossa inaccettabile.

Idem con patate l’ingresso nell’Unione europea, soprattutto se Bruxelles definirà un programma di difesa comune, che a quel punto diventerebbe una sorta di mini-Nato continentale. “Mad Vlad”, invece, pone come condizione imprescindibile la smilitarizzazione e la neutralità del Paese.

Per quanto irregimentata sia la politica russa, con un’economia piegata alle esigenze belliche e il dissenso schiacciato nel sangue, anche Putin ha interesse a uscire dal pantano ucraino al più presto.

Non solo perché tenere in piedi un apparato militare al fronte costa, drena risorse e uomini (secondo un’inchiesta della Bbc, finora la strategia è stata quella del “tritacarne”, con 55mila soldati russi morti), ma anche perché la tentata invasione dell’Ucraina ha esposto la Russia alle fauci della Cina.

Se è vero che Putin non ama l’Occidente, è altrettanto vero che Mosca, ubriacata di nazionalismo neo-imperialista, non ha nessuna voglia di diventare una colonia di Pechino.

Lo stato di necessità lo ha spinto tra le braccia di Xi Jinping, dichiarando una “amicizia senza limiti” con il dittatore cinese, ma al Cremlino si sono resi conto di un rapporto sempre più asimmetrico tra i due Paesi. Non potrebbe essere altrimenti, considerando la potenza economica del Dragone (seconda potenza mondiale) rispetto alla fragile Russia. Putin non vuole essere un raviolo al vapore da servire caldo alla mensa di Xi.

La via d’uscita per la tregua va imboccata entro agosto, visto che il 5 novembre si terranno le elezioni americane e Joe Biden non può permettersi di arrivare alla sfida con Trump con due guerre ancora aperte.

Da questa esigenza è scaturito il mandato alla Cia, e non ai tradizionali canali diplomatici, di trattare con gli omologhi russi.

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