Il generale Vannacci dovrebbe fare un monumento ai pennivendoli rossi: anche oggi la lagna di un anziano gay regala pubblicità gratuita al suo libro

tratto da la Stampa

Ernesto Gallarato: “Caro Vannacci, da persona gay le dico: quando è troppo è troppo”
Nel 1980, una lettera pubblicata nella rubrica Specchio dei tempi de La Stampa ha sollevato uno dei primi dibattiti su come conciliare fede cattolica e omosessualità. Nonostante la testimonianza fosse firmata, il giornale decise di tutelare la privacy dell’autore scrivendo “Segue la firma”. In occasione del Torino Pride dello scorso anno, al quale la redazione ha partecipato per la prima volta, abbiamo rintracciato il mittente, Ernesto Gallarato. La sua lettera iniziale aveva suscitato una serie di altre lettere sull’argomento e aveva contribuito alla creazione, nel 1981, del gruppo di credenti gay chiamato Davide e Gionata, uno dei primi in Italia. Oggi Ernesto Gallarato ha 63 anni e ci ha scritto una nuova lettera denunciando i pregiudizi presenti nel libro del generale Roberto Vannacci intitolato Il mondo al contrario. Di seguito, la sua nuova lettera, che riceviamo e volentieri pubblichiamo.


Quando è troppo è troppo. Avevo deciso di ignorare quell’ignobile scritto autopubblicato dal Generale, di cui tutti parlano. Tuttavia, essendo parte di quella comunità alla quale il Generale dedica un intero capitolo del suo libro, ho sentito il dovere di replicare. Così ho iniziato il capitolo 9 intitolato Il pianeta Lgbtq+. Da pagina 233 a pagina 289, cinquantasei fogli costellati da falsità, nefandezze, odio, fango, ignoranza ed ipocrisia, raffiche di mitra contro gli appartenenti a quella comunità che il Generale chiama «pianeta». Durante la lettura, mi sono trovato spesso senza fiato per la rabbia. Più volte ho sentito l’impulso di gettare il libro contro un muro o a terra, tanta era la frustrazione di non poter fare nulla di più concreto per fermare le pallottole di omofobia che il generale-killer stava allegramente sparando contro di me ed i miei fratelli e sorelle. Tutto questo mentre sventolava la bandiera dei «valori tradizionali». Ho resistito alla tentazione di esprimere la mia reazione ribelle in una pagina perché la malattia di Parkinson e due pesanti interventi chirurgici mi hanno insegnato a non sprecare energie inutilmente.

Poi, ho letto un articolo di Lucetta Scaraffia su La Stampa, in cui, commentando lo scritto del Generale, è riuscita ad andare oltre, o meglio, ancora più in basso, giustificando, addirittura assolvendo e promuovendo quell’ignobile pamphlet. Scaraffia scrive: «Il Generale sostiene che gli omosessuali non sono normali, ma lo dice – attenzione! – non già da un punto di vista medico o psicologico, ma da un punto di vista puramente numerico. (…) O dobbiamo forse pensare che i numeri, quando non ci fanno comodo, sono un’opinione?».

Cara Scaraffia, come persona gay che vive sulla Terra e non sulla Luna, sono ben consapevole di appartenere a una minoranza, e i numeri non mi fanno né comodo né scomodo. I numeri sono numeri. Ma le parole che il Generale usa sono: cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione. Ma il fatto che ci siano meno ingegneri rispetto agli agricoltori non li rende «anormali», vero? Direbbe che i cristiani in Iran sono «anormali» dal punto di vista religioso rispetto ai musulmani? Il concetto di normale/anormale non è neutro. Contiene in sé un giudizio negativo. «Diversità» e «minoranza» sono appropriate e rispettose, utilizziamole e vedrete che nessuno si sentirà offeso. Ma se utilizzate il termine «anormale», ci stante insultando e ciò giustifica la nostra reazione per difenderci. Vi prego, non giocate con le parole, le parole possono uccidere.

Dopo aver attaccato per l’ennesima volta le solite «risicatissime minoranze arcobaleno» e aver citato Orwell per sostenere che «senza le parole non è possibile esprimere le idee», il Generale lamenta il fatto che ora dobbiamo usare una parola straniera come «gay» per definire gli uomini omosessuali. Tutti i sinonimi made in Italy che «fino a pochi anni fa» potevamo trovare nei dizionari sono stati fatti fuori. E di chi sarebbe la colpa? Della solita perfida «lobby gay». Così oggi, per indicare un omosessuale maschio, non è più possibile usare impunemente i vocaboli della «nostra ricca, antica, melodica e bellissima lingua Italiana». Ecco la sfilza di quella «melodiche» espressioni: pederasta, invertito, frocio, ricchione, buliccio, buggerone, bardassa, caghineri, cupio, femminiello, uranista, checca, culattone.

Sono rimasto basito. Molte di quelle parole sono i chiodi che mi hanno crocifisso durante gli anni dell’adolescenza. Il dolore che sperimentai all’epoca, ora, dopo quasi cinquant’anni, è improvvisamente vivido e presente. Sono stato colto da conati di vomito ed ho poi effettivamente vomitato. Mi sono ricordato dei tanti (troppi) volti di amici che, negli anni Ottanta, sono stati inchiodati a croci che li hanno uccisi. Uno per tutti: Ferruccio Castellano. Avrei voluto concludere questa lettera con una proposta di dialogo. Avrei voluto invitare il Generale a un incontro, guardandolo negli occhi, per chiedergli fraternamente il motivo di tanta ostilità e cercare di superare insieme le reciproche incomprensioni. Non ci riesco. Non voglio. Non posso. Non devo.

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1 comment
  1. Sai che anche a me viene il mal di stomaco a leggere queste due lettere ma se sei gaio e non vuoi imporre al mondo la tua “ideologia” non mi preoccupo ma quando, come guppo di influenza, volete imporre le vostre devianze a tutta l’umanità beh allora c’è un grosso problema da risolvere e non è certo il libro del generale.

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