Patrick Zaki non serve più al sistema: dopo aver giocato a fare il martire, le sue dichiarazioni contro Israele ce lo hanno tolto dalle balle. Dopo Fazio che annulla l’ospitata, adesso tocca al Salone del libro

di Luca Beatrice per Libero

Quel logo va tolto. La celebre immagine con le coste colorate dei sette libri che identifica da parecchi anni il Salone del libro di Torino non può accompagnare l’evento previsto per il prossimo 17 ottobre al Sermig, che a sua volta definendosi un luogo pacifista non dovrebbe ospitare un individuo le cui dichiarazioni dei giorni scorsi sono state di una gravità inaudita. Spiace persino riportare la notizia ancora una volta e fare involontaria pubblicità a Patrick Zaki, sedicente attivista egiziano cui il governo italiano – è proprio il caso di dire, sbagliando- ha salvato dal carcere nel suo paese. In tour a caccia di consensi con il suo libro -memoir pubblicato da La Nave di Teseo, passaggio televisivo assicurato da Fabio Fazio, Zaki venga pure a Torino a riferire le sue immonde opinioni, ma non sotto l’egida di un’istituzione che vuole essere libera, pluralista e democratica e che per anni ha rimandato a casa gli editori di destra con scuse inaccettabili, mentre oggi rischia di offrire il placet a chi ha definito gli israeliani, colpiti da un attacco terroristico senza precedenti, come dei serial killer.

Ne parliamo con Angelo Pezzana, storico fondatore del Salone del libro insieme a Guido Accornero, da sempre a fianco di Israele sul portale informazionecorretta.com. «Mi auguro che il Salone riesca a manifestare nel modo più coerente la distanza da questo individuo, anche se un importante editore lo ha pubblicato per fargli raccontare le proprie avventure e lui, nel frattempo, ne ha approfittato per schierarsi con i terroristi. Zaki esalta quel movimento internazionale finanziato dall’Iran per distruggere uno stato democratico e cancellarlo dalla carta geografica». Oggi alla direzione del Salone c’è Annalena Benini a rappresentare un asse certamente più moderato. «Mi ha detto che se fosse stata a Roma avrebbe partecipato alla manifestazione a sostegno di Israele. Benini deve impedire che i piedi di questo ignobile personaggio varchino la soglia del Salone e nel frattempo la prego di togliere il logo dall’invito per il prossimo evento. Lui gira l’Italia con questo marchio prestigioso e non è degno di parlare per conto di una struttura democratica e aperta. Vada dove vuole ma non con una sigla che gli dà prestigio». Al momento non è ancora uscita una nota ufficiale. Pezzana, se la direttrice decidesse invece di tenerlo? «Subirei una grandissima delusione, così come sono rimasto deluso dall’accensione della luce blu sul grattacielo della Regione Piemonte. Non basta, ci voleva la scritta io sto con Israele, senza nessuna ambiguità».

Scrittrice, traduttrice, direttrice del Circolo dei lettori, Elena Loewenthal non si esprime direttamente sulla necessità di togliere il marchio perché del Salone il Circolo è partner organizzativo, ma commenta le dichiarazioni di Zaki. «Sono parole gravissime non di fronte a un atto di guerra ma un attentato brutale contro civili inermi barbaramente trucidati. E più ancora delle parole sono tremendi i silenzi, il non aver mai menzionato le vittime che per uno con un vissuto (presunto, ndr) come il suo risulta ancora più gravi». Ma le cose non avvengono mai per caso e infatti Loewenthal ci parla di un ennesimo disegno atto alla «negazione dello Stato di Israele in un Medio Oriente che molti vorrebbero pacificato, in realtà una forma di antisemitismo». Anche lei è colpita dal silenzio dei benpensanti e giudica inopportune le parole di Gualtieri, sindaco di Roma, accanto alla bandiera di Israele va issata la bandiera della pace. Non è proprio la stessa cosa.

Ermanno Tedeschi, presidente della Jerusalem Foundation Italian e curatore d’arte, ha la voce rotta dalla commozione. «Tutte le persone che conosco hanno subito qualcosa, bambini hanno perso i loro genitori e si sono salvati per miracolo protetti dai bunker». Gli riferisco di certe ambiguità del mondo della cultura e mi dice che «è naturale perché è un universo tendenzialmente filopalestinese». E torna sull’episodio capitato al Salone del libro del 2008, «quando un intellettuale peraltro di rilevo ma dichiaratamente antisemita come Gianni Vattimo, scomparso poche settimane fa, cavalcò la protesta dei centri sociali contro gli scrittori israeliani». Altri si schiereranno con Zaki, «temo di sì, nel giro di qualche giorno ne spunteranno, quando l’esercito entrerà a Gaza per rispondere a un atto di violenza inaudita. Ho visto che Giuseppe Conte si è già smarcato come alcuni esponenti dei Cinque Stelle torinesi, rappresentano la sinistra estrema».

Il Salone del libro, dunque, non può rimanere indifferente e deve togliere il proprio marchio dissociandosi dai deliri di una persona pericolosa che ha troppi seguaci sui social perché si possa minimizzare l’accaduto. Chissà che anche dalla Nave di Teseo si rendano conto chi sia veramente Zaki e gli tolgano il bollino dal libro, un conto infatti è pubblicare difendendo Woody Allen sempre prosciolto dalle accuse, un altro veicolare il delirio di chi inneggia a stragi e assassini.

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