Indagine Bergamo, Sileri pretende di fare il fenomeno accusando solo adesso, dopo esser stato tra gli indegni fautori dell’obbligo over50, a scaricare Speranza e il governo

Sileri imbarazza Speranza: “Al ministero un’Armata Brancaleone”

di Tiziana Lapelosa per Libero

«’A Silè, non portà sfiga» gli ripetevano al ministero della Salute tra il serio e il faceto. Ma, più che sfiga, quella di Pierpaolo Sileri, era un parlare con cognizione di causa. Di chi ha visto e sa. Febbraio 2020. Al governo c’è il Conte bis. Allo Spallanzani di Roma, in pieno isolamento, un ingegnere biochimico e una umanista sono ricoverati per Covid. Passaporto cinese e panni da turisti in Italia, in assoluto i primi due casi di contagio accertati in Italia. A Wuhan, Cina, dove tutto è iniziato, 56 connazionali aspettano di rientrare in patria: Sileri li va a prendere insieme ad un team di medici ed infermieri. È qui che intuisce la portata del fenomeno. «C’era una bolgia da film», di gente che voleva andare via, ha raccontano ieri a “Un Giorno da Pecora” su Rai Radio 1, intervistato dai conduttori Geppi Cucciari Giorgio Lauro. Immagini, quelle immagazzinate nel Paese a guida comunista, che lo perseguitavano. Per questo, rientrato nei palazzi del potere, racconta quanto visto alla task force istituita pochi giorni prima per monitorare e contrastare l’emergenza Covid 19 che come un’onda avrebbe travolto il Paese. È qui che Sileri, 50 anni, medico chirurgo e professore universitario, si sente dire «’a Silè non portà sfiga».
«Forse era una battuta e basta», osserva. Ma al ministero della Salute, guidato da Roberto Speranza, «alcuni avevano contezza» di quel che sarebbe potuto succedere, e «quello che ne aveva di più era Ippolito (Giuseppe, ndr), che lavorava alla task force ma era allo Spallanzani». Dunque, troppo distante per poter fare “pressione” su un gruppo di persone non sempre all’altezza dal compito. «Credo che il vero problema vada ricercato nella selezione dei tecnici del ministero, che ha portato ad un sistema, a mio avviso, fatto di scelte non eccellenti», dice Sileri. Insomma, «un’armata Brancaleone». Certo, «non tutti». Alcuni «dovevano affidarsi ad una società esterna perché non parlavano inglese…», «qualcuno dei segretari e direttori generali non sono mai stati all’altezza a mio avviso». Insomma, «c’è stato un sistema che ha avuto dei buchi» che è sotto gli occhi di tutti con la magistratura che, per quanto discutibile possa apparire agli occhi di molti, vuole vederci chiaro con le due inchieste aperte, una a Bergamo e l’altra a Roma e che nel mirino ci hanno messo diversi vertici del governo di allora (in pratica i ministro della salute Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo e Roberto Speranza), e alcuni dei vertici del ministero della Salute.

Sileri non compare tra le persone indagate nell’inchiesta su Alzano e Nembro (Bergamo), le località più colpite dal virus per le quali la domanda che si pongono i magistrati è perché non sia stata fatta la zona rossa. E qui, l’ex sottosegretario, sembra sganciare un’altra bomba: «L’inchiesta non dice che non c’era un piano pandemico ma che sebbene ce ne fosse uno vecchissimo, quello non è stato applicato». Ricapitolando: c’è la task force, c’è un piano pandemico non aggiornato, ce n’è uno vecchio e a nessuno viene in mente di applicarlo. Dice Sileri, sempre a Radio 1: «L’applicazione del piano pandemico è la preparazione all’emergenza: se un piano fosse stato applicato prima della pandemia avresti avuto il controllo di diverse cose, prime tra tutte il controllo del territorio e i conseguenti dati, che invece arrivavano in maniera tumultuosa». Nel piano, seppur datato, si affrontava anche il tema mascherine, «c’è tutto quello che è preparatorio». Sappiamo come è andata a finire pure con le mascherine: poche e usate male dirà Andrea Crisanti, scienziato prestato alla politica con una poltrona da senatore Pd, nella relazione che costituisce il pilastro dell’inchiesta di Bergamo, ma che a inizio pandemia dichiarò che mai avrebbe fatto il vaccino, che le mascherine erano inutili, che bisognava evitare gli assembramenti, che si poteva andare al ristorante. A un Crisanti certo che circa 4mila morti si sarebbero potuti evitare in Lombardia, Sileri risponde che «col senno del poi è sempre tutto più facile». Pierpaolo Sileri è tornato a fare il medico («opero tutta la settimana, mi dedico ai pazienti») mantenendo la promessa fatta da politico ovvero che sarebbe tornato alla sua professione perché la politica va bene ma «a tempo determinato». E, di certo, non ha portato sfiga. Anzi.

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