Estratto dell’Alessandro D’Amato per www.open.online
«Non mi convince un Matteo Messina Denaro che si fa i selfie in clinica. O che arriva con l’olio di Castelvetrano per medici ed infermieri. Preferisco pensare che l’abbia tradito la voglia di essere seppellito tra i suoi ulivi». Michele Santoro ha scritto con Guido Ruotolo “Nient’altro che la verità”. Il libro raccoglie le confessioni di Maurizio Avola, killer della mafia. Ma anche vecchia e stretta conoscenza del boss trapanese.
L’autore televisivo non crede ai complotti dei servizi segreti, non pensa che l’ultimo dei Corleonesi si sia consegnato e che l’arresto sia una farsa. Ma ritiene che il tumore abbia spinto Diabolik ad allentare le difese. Perché farsi prendere poteva in qualche modo convenirgli. Anche e soprattutto per una “questione di affetti”. […]
E quindi dobbiamo cambiare il modo di approcciare alla criminalità organizzata. Inseguendo il denaro. Capendo, come diceva Falcone, dove sono finiti i soldi. Quello di Cosa Nostra è un tesoro immenso. Dove sia finito è la prima preoccupazione che dovremmo avere». […] «La fase stragista si è chiusa. Forse perché si è aperta quella capitalista?». […]
Messina Denaro, che non era prima un oppositore dello Stato, diventa un soldato pronto alla guerra. […] «Per esempio è laico. In quegli scritti che gli vengono attribuiti dice che la madre gli ha trasmesso la fede ma lui l’ha persa. Il suo politico di riferimento è Craxi. E quando si esprime sulla stagione delle stragi è genuinamente convinto che i magistrati abbiano effettuato un colpo di Stato. […]
Quando don Ciccio muore, il giovane boss crea nel trapanese una mafia “facilitatrice” d’affari. «E soprattutto per lui non essere catturato era una questione d’onore. Questo stride con i comportamenti che ha avuto negli ultimi tempi. Per trent’anni è stato impossibile avere sue immagini. I suoi amici sono stati assediati dalle intercettazioni di investigatori che lo cercavano. Pensare che sia la stessa persona che si va a fare un selfie in ospedale è stridente», obietta Santoro. Come se non avesse più il problema di farsi prendere. Per il semplice motivo che sta morendo.
Poi c’è da considerare il richiamo della famiglia: «Mentre molti padrini sono stati catturati anche perché non volevano separarsi da mogli e figli, Matteo è uno che non ha visto la figlia nemmeno un giorno nella sua vita pur di non farsi catturare». La figlia si chiama Lorenza, come la madre di Matteo. Il padre non lo ha mai incontrato.
È nata dal rapporto del boss con Francesca Alagna, ma non porta il suo nome. È cresciuta nella casa della mamma. Nel diario ritrovato nel covo Messina Denaro scrive «perché Lorenza non vuole vedermi? Perché è arrabbiata con me? […] Quella di venire arrestato è l’unica possibilità di tornare in contatto con la sua famiglia senza metterli in pericolo».
Se Messina Denaro parlasse, la domanda più importante da fargli sarebbe quella sul «tesoro di Cosa Nostra. Per anni la mafia è stata uno Stato nello Stato. Ora che l’economia ha preso il sopravvento sulla politica i mafiosi si sono mescolati al fenomeno con le loro ingentissime ricchezze ed è lì che sopravvivono. Ora sono introvabili? Sì, perché probabilmente cercarli vorrebbe dire mettere in discussione il sistema capitalistico. Dove vai a vedere? Il rischio è che l’intera economia siciliana – e forse anche quella nazionale – si bloccherebbe di fronte a una ricerca che va in quella direzione. Quindi meglio capire se c’è l’Agenda Rossa e cose del genere». […]
«Non mi convince un Matteo Messina Denaro che si fa i selfie. O che arriva in clinica con l’olio e il vino di Castelvetrano da distribuire tra medici ed infermieri. Preferisco pensare che l’abbia tradito la voglia di essere sepolto tra i suoi ulivi». Per l’inventore di Samarcanda Messina Denaro ha perso il suo spirito di vigilanza ossessivo perché non reggeva i trent’anni di latitanza.
Anche le circostanze della cattura potrebbero riservare qualche sorpresa. «Per trent’anni hanno intercettato i telefoni. Non hanno mai trovato nulla. Magari è arrivata una soffiata. Ma se, per ipotesi, qualche lavoratore dell’ospedale l’ha riconosciuto e l’ha detto ai carabinieri è giusto che lo proteggano per non esporlo a rappresaglie». Ma anche se c’è un filone complottista che sostiene che si sia fatto catturare, secondo Santoro per Messina Denaro semplicemente «non era più così importante non farsi prendere. Anzi. Poteva in qualche modo convenirgli. Per una questione di affetti sentimentali. Io non conosco la sua cartella clinica, ma leggo di un tumore allo stato terminale. Quanto grave sia questa malattia non lo sappiamo». […]
«I padrini come Graviano e Messina Denaro sono ancora relativamente giovani, hanno sessant’anni. Per questo ogni tanto chiamano in ballo Berlusconi: la storia di Forza Italia ha costeggiato le scelte politiche di Cosa Nostra, anche se sono convinto che sia una sciocchezza pensare che lui c’entri con le stragi. Anche la profezia di Baiardo che annuncia l’arresto coincide: per me lui è un personaggio minore, ma può darsi che da quegli ambienti qualcosa davvero fosse trapelato. Il punto chiave è l’abbassamento della cortina di sicurezza: quand’è che Messina Denaro comincia a fare i selfie? Dopo una vita all’insegna della prudenza entra in ospedale e regala l’olio. È chiaro che l’elemento psicologico è stato decisivo. Insieme alla paura della morte».
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