T. Mas. per “la Repubblica” – Estratti
All’anagrafe è “Sarah”, scritto alla tedesca, con l’acca alla fine. Wagenknecht nasce 55 anni fa a Jena, nella vecchia Germania Est. Cresce da sola con la madre; il padre iraniano torna in patria prima del terzo compleanno della figlia.
Costellata di conflitti permanenti, sconfitte brucianti e rinascite. Pochi anni fa sembrava politicamente morta. Oggi nessuno riesce più a immaginare un futuro della Germania senza il suo volto spigoloso.
Il boom in Turingia e Sassonia – terza in entrambi i land – conferma quello che molti già sospettavano. Il suo partito personalistico “Buendnis Sahra Wagenknecht”, nato a gennaio di quest’anno, è la più importante novità politica di questa fase.
Nella tradizionale foresta pietrificata del sistema partitico tedesco, il suo populismo rossobruno, il suo smaccato putinismo e antiatlantismo, l’odio contro i verdi e la retorica anti-migranti hanno conquistato una fetta di tedeschi, anzitutto a Est, che sono stanchi della guerra in Ucraina e dei disastri di una coalizione federale rosso-verde-gialla guidata da un cancelliere impopolare come Olaf Scholz.
Già alle europee di giugno, alla prima prova elettorale, Wagenknecht aveva incassato oltre il 6%. Secondo il politologo dell’Università di Potsdam, Jan Philipp Thomeczek, il suo partito «riempie uno spazio vuoto: propone una politica sociale di sinistra ma è a destra sui temi che riguardano la struttura della società». Una populista che scippa all’estrema destra Afd e al suo vecchio partito, la Linke, che ha finito per annientare.
Wagenknecht è risorta tante volte.
Ancora giovanissima, la Ddr le impedisce di studiare per motivi politici. Lei recupera dopo la caduta del Muro. Si laurea in filosofia con una tesi sul giovane Marx e prosegue con un dottorato in economia sulla propensione al risparmio in Germania e negli Usa. Dopo la fine della Ddr, “Sahra la rossa” scala rapidamente il partito dei post-comunisti Pds. È bella, è giovane, diventa la carismatica promessa di una forza politica che si definisce erede riformato del vecchio partito comunista della Germania Est ma che pullula di vecchi bonzi. Wagenknecht, che manterrà sempre una tendenza spiccata a dividere gli animi, entra però in conflitto quasi subito con un pezzo grosso del Pds, Gregor Gysi.
Negli anni successivi, per il suo estremismo di sinistra finisce persino sotto osservazione dei servizi, quando diventa parlamentare. Dopo una parentesi al Parlamento europeo, torna nel Bundestag come deputata della neonata Linke. E Gysi è costretto sui malgrado a issarla nella segreteria del partito: la sua popolarità nella Linke è innegabile. Ma lei non smette di spaccare il partito con le sue posizioni controcorrente.
Nel 2016, durante la crisi dei profughi, rinnega la tradizionale solidarietà pro-migranti della sinistra tedesca e chiede di «chiudere le frontiere ». Nel 2017 fonda un movimento, Aufstehen!, Alzarsi!, che nelle prime ore raggiunge cifre record di iscritti: 170mila. Ma fallisce per la sua incapacità di strutturarlo e per «problemi di salute» – esaurimento nervoso – che la costringe in pochi mesi a gettare la spugna.
Nella Linke, ormai, è considerata una traditrice, nel 2021 tentano di cacciarla con una procedura formale. E la rottura definitiva si consuma con l’invasione dell’Ucraina, quando Wagenknecht assume una posizione filoputiniana talmente radicale da provocare una lettera di protesta del partito.
Ma lei ha già altri piani: alla fine del 2023 annuncia la sua uscita dalla Linke, a gennaio di quest’anno battezza il Buendnis Sahra Wagenknecht con una fetta di transfughi della Linke. E crea un esempio raro, per la Germania, di un partito modellato su una sola personalità, dichiaratamente leaderistico e populista
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