“Due o tre volte a settimana penso: famme scappà via da Roma” Carlo Verdone e l’attacco frontale contro Gualtieri

Estratto dell’articolo di Tommaso Rodano per “il Fatto Quotidiano”

 “Non ne posso più”. Persino Carlo Verdone, leggenda e manifesto vivente della romanità, è arrivato a minacciare la resa, l’abbandono del nido. “Ci penso davvero, due o tre volte a settimana: famme scappà via. Non è un problema solo mio, conosco tanti amici che stanno valutando concretamente di andarsene da Roma. È la prima volta che succede”.

Non dice davvero. È un colpo di sole, il caldo.

Il caldo rende ancora più invivibile una città così complicata. È un caldo cafone. Non solo killer, perché di tanto in tanto ti fa sentire le sirene delle ambulanze che vanno a prendersi un vecchietto che non tornerà più. No: è pure un caldo di una volgarità incredibile. Aggrava tutto, deprime, scoraggia. Con questa temperatura non ce la facciamo. Ma il declino di questa città non è stagionale, è costante.

Da quanto tempo?

Quando Fellini girò Roma, la raccontò attraverso una fila sul Grande Raccordo Anulare, partendo dall’esterno – un tamponamento, un casino incredibile, le auto incolonnate, un camion di buoi con le bestie finite per strada – e poi spostando la prospettiva dentro l’abitacolo delle macchine in coda, mostrando le persone furibonde, il vario apparato umano di questa città. Era il 1971, sono passati più di 50 anni: è tutto uguale, non è cambiato niente.

La città è un unico, gigantesco cantiere.

Ben vengano, probabilmente quando saranno finiti la città sarà più bella. Ma siamo nel 2024: le cose andavano fatte molto, molto prima.

Ci crede davvero nella resurrezione di questo corpo agonizzante?

Quando Rutelli fece tutti quei lavori, per il Giubileo del 2000, ci venne un esaurimento nervoso, ma a conti fatti servivano eccome. Il problema è che abbiamo tutti paura che i cantieri si possano allungare oltre misura. Allora no, diventerebbe l’ennesimo guaio. Siamo abituati a un sistema burocratico spaventoso: si rompe un arco, una galleria, arrivano le transenne, ti sequestrano una strada e non sai quando te la ridanno. Entrano in ballo una, due, tre soprintendenze. […]

Di recente ha lanciato un grido di dolore sulla sporcizia della città. Ha definito Roma “il bagno di un autogrill”. Siamo a questo punto?

Ho sollevato il problema dei gabinetti pubblici, che è sotto gli occhi di tutti. Provi ad affacciarsi per una ventina di minuti da Ponte Garibaldi o da Ponte Sisto, vedrà qualcuno che si cala i pantaloni e lascia un bel ricordo. Glielo garantisco al cento per cento. Mica solo pipì, eh, pure qualche regalo più sostanzioso. Dalla mia finestra vedo ragazzi, ubriaconi – romani e turisti – che si nascondono dietro macchine, statue, alberi.

Ogni volta che torni a casa, ti devi controllare le suole delle scarpe. È indecoroso, impensabile per le capitali europee “normali”. C’è un concorso di colpa, è chiaro: c’entra pure il senso civico delle persone. Ma cara amministrazione, che ci vuole a mettere dei vespasiani?

A proposito di decoro, il sindaco ha presentato in pompa magna “Cestò”, i nuovi cestini dei rifiuti super moderni per il Giubileo. Il problema è che li hanno fatti con i buchi, i gabbiani ci infilano il becco e distribuiscono la spazzatura ovunque. È una cartolina di Roma?

Bisogna porre rimedio. Pure il gabbiano è il risultato di una città sporca. Ci sono sempre stati, ma un numero così incredibile non l’avevamo mai visto. E poi i piccioni. Nel nostro condominio non sappiamo più come fare: non vogliamo ammazzarli, poveracci, ma arrivano in gruppo, dieci alla volta, non hanno più paura di nulla; stanno massacrando i nostri balconi. Roma è sporca da troppo tempo e questa è la conseguenza. Guardi, le assicuro che non mi trovo a mio agio in questo ruolo.

Quale?

Quello di chi critica la sua città. Poi mi dicono “hai parlato male di Roma”. Ma come fai? Come ti giri, non vedi più una strada normale. Non c’è un centimetro di muro che sia stato risparmiato. Tag, firme, scritte, brutture, sfregi.

Un nuovo “eroe” veglia sulla metropolitana di Roma: Simone Cicalone, ex pugile, professione influencer. In cambio dei nostri click, va ad affrontare i borseggiatori sotto la metropolitana.

Mi sembra un esempio perfetto, un po’ triste, delle mancanze di chi gestisce questa città. Sappiamo benissimo dove operano i borseggiatori, si conoscono perfettamente le stazioni sensibili, con tanti turisti: dovrebbe essere la città a prendersi cura della sicurezza, non questa specie di Robin Hood improvvisato.

Più che Robin Hood, non le pare un Gallo Cedrone?

È vero, potrebbe tranquillamente essere un mio personaggio. Sotto la metropolitana ci vorrebbero più agenti in borghese, non è un lavoro che può fare chi conta di prendere i like. Certo Roma è talmente grossa, talmente affollata. Ormai, bisogna dire la verità, ci sono più turisti che romani. Mi rendo conto che è tutto complicato, siamo in un momento di declino da tutti i punti di vista. Ma è così strano chiedere meno Cicalone e più polizia?

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