DAGOREPORT di dagospia.com
Giorgia Meloni è attanagliata da un dubbio amletico: entrare o non entrare nella maggioranza Ursula? Come Dago-dixit, il camaleontismo della premier è arrivato a un bivio decisivo e, alla faccia di ogni traccheggiamento, è il momento delle decisioni irrevocabili. La Ducetta non può più giocare su vari tavoli e deve dire chiaramente a Ursula se intende sostenerla oppure no.
A maggior ragione che la Presidente uscente della Commissione ha dichiarato che i voti li cercherà personalmente. Il che significa che intendere dialogare con i suoi possibili sostenitori senza intermediari e si aspetta una risposta chiara. D’altronde Ursula ha confermato, senza nascondersi, che negozierà direttamente con Meloni. E se la presidente chiama, Giorgia deve rispondere: ci sta o no?
Una scelta non facile, perché qualunque cosa decida c’è molto da perdere. Se decide di sostenere Ursula von Der Leyen, la Sora Giorgia otterebbe un commissario di peso per l’Italia (probabilmente una vicepresidenza esecutiva con delega al Pnrr). Ma si troverebbe poi, de facto, in opposizione al gruppo dei Conservatori, di cui è presidente. I polacchi del Pis e i neo-franchisti di Vox non vogliono sostenere la politica tedesca e difficilmente accetteranno di avere come guida “l’amica di Ursula”.
Orban, pur di non accodarsi alla Von der Leyen, ha preferito non entrare in Ecr, creando un euro-gruppo di sovranisti dell’Est. Marine Le Pen e Salvini, dal fortino di “Identità & Democrazia”, un secondo dopo l’accordo tra Giorgia e Ursula, griderebbero all’inciucione azzannando la Meloni da destra.
Il premier polacco Tusk, uno dei reucci del Partito popolare europeo e strenuo oppositore delle destre anti-Ue, sarebbe anche disposto ad accogliere i voti della Meloni ma solo come leader di Fratelli d’Italia e non come capo di Ecr.
Dunque, se ci sostiene, è il ragionamento dei vertici Ppe, deve lasciare la guida dei Conservatori con cui ogni dialogo è impossibile (Tusk detesta gli arci-rivali del Pis, membri del raggruppamento guidato dalla Sora Giorgia).
Il vicolo stretto della Ducetta è reso ancora più impervio da Ursula che, dopo aver navigato tra acque procellose (lo scetticismo di parte del Ppe e le recriminazioni dei socialisti), ora sembra aver trovato una posizione più solida: se i 24 eurodeputati di Fratelli d’Italia non la sosterranno, si rivolgerà ai Verdi che hanno offerto il loro appoggio e dispongono di una delegazione anche più numerosa di Fdi (ben 53 parlamentari).
La scelta che si para davanti alla premier è angusta e piena di rischi. Se decide di mettersi all’opposizione di Ursula con gli euro-puzzoni di destra, si ritroverà una futura Commissione ostile. E di problemi economici da discutere con Bruxelles, l’Italia ne ha a iosa.
A partire dalla procedura d’infrazione per il deficit eccessivo, aperta la settimana scorsa; la ratifica del Mes (l’Italia è l’unico paese dell’area euro a non averlo approvato); la manovra finanziaria tutta da scrivere, con le mani legate dal ritorno dei legacci del Patto di Stabilità. Senza contare le rogne legate alla Concorrenza (tassisti e balneari), su cui Bruxelles ha l’ultima parola.
Accodarsi, da ultima ruota del carro, alla maggioranza Ursula (Ppe, Socialisti, Liberali) le toglierebbe lo scettro di Ecr e la leadership delle destre, che passerebbe definitivamente a Marine Le Pen. Privata del suo eurogruppo e rinnegata come “traditrice” dai suoi attuali alleati, la Sora Giorgia si ritroverebbe a essere una “paria” a Bruxelles senza seguito né potere. Un prezzo da pagare per gli interessi dell’Italia: la Regina della Garbatella è disposta a “sacrificare” le sue personali ambizioni? D’altro canto, non sarebbe una rinuncia totalmente disinteressata.
Le elezioni amministrative hanno registrato un primo smottamento di consensi verso il “Campo largo”: l’alleanza di Destra-centro ha preso schiaffi nelle grandi città ed è stata randellata a Firenze, Bari, Perugia, Campobasso, Potenza, Cagliari. Inoltre, la premier è consapevole che un’Italia attanagliata dai problemi economici, che la Commissione Ue può rendere più aspri con le sue decisioni o i suoi “no”, diventerà un campo minato. Da Renzi a Salvini, ci sono già stati leaderini inebriati da un fragile consenso poi evaporato alle prime difficoltà. Se non mette una pezza subito, sporcandosi con i compromessi imposti a Bruxelles, anche la Meloni rischia di fare la stessa fine: giubilata nel carrello dei bolliti.
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