Lutto nel calcio mondiale: la stella di Milan e Germania si è spenta nella notte. Karl-Heinz Schnellinger aveva 85 anni

È morto Karl-Heinz Schnellinger, ex giocatore della Germania Ovest degli anni Sessanta e Settanta. La sua carriera sportiva è legata fortemente all’Italia, dove ha giocato con le maglie di Roma, Mantova e a lungo quella del Milan. Ma è ricordato soprattutto per il gol dell’1-1 realizzato al 90’ nella semifinale della Coppa del Mondo del 1970 a Città del Messico proprio contro la nazionale italiana. La sua rete regalò ai tedeschi i supplementari di quella che è stata definita una delle partite più belle della storia del calcio: l’incontrò finì 4-3 per gli Azzurri che evitarono i rigori.

Con la maglia del Milan ha vinto uno scudetto, tre Coppe Italia, due Coppe delle Coppe, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale.

Il campione tedesco aveva 85 anni: malato da tempo, è deceduto a Milano dove risiedeva.

tratto dal libro ” 4-3″ di Maurizio Crosetti

Karl-Heinz Schnellinger gioca nel Milan e per questo i compagni di nazionale lo chiamano der Italianer, anche se lui è il più tedesco di tutti: grande, grosso e soprattutto biondo. Gianni Brera sosteneva che i calciatori biondi sembrano più bravi degli altri perchè si notano di più. Forse almeno in parte è vero.
L’italiano gioca in modo semplice e lineare, mai un guizzo, mai una stranezza. M;ai un capriccio. Ha la sua partitura e si limita a eseguire quella, con impegno. Quando comincia a giocare nel Mantova, siccome non conosce una sola parola di italiano, si rivolge così all’allenatore Bonizzoni: “Ego sum Schnellinger”.
E quell’altro strabuzzando gli occhi: “Ego sum Bonizzoni, sprichst du Deutsch?”.
Schnellinger non è una Mercedes, piuttosto è un Maggiolone. E cominciano a chiamarlo Volkswagen. E poi Cane, per la grinta che ci mette e per quella foga nel correre dietro a ogni pallone: un cane da riporto, un cane da caccia.
Nei lunghi giorni di ritiro col Milan, Karl-Heinz divide la camera sempre con Rosato, di cui diventa l’amico del cuore. Nessuno dei due parla troppo e per questo si capiscono. Quando quel giorno all’Azteca, Gianni Rivera lo salta con un pallonetto, Karl-Heinz ci resta un po’ male, però dura un attimo. C’è un lavoro da sbrigare, bisogna mandare il pallone ai compagni. Lui si limita a fare il cane da riporto e a consegnare palla a Seeler, Muller e Overath. E la partita scorre lenta e pesante come la corsa di Karl-Heinz Schnellinger. C’è un grande orologio sulla sommità della curva, proprio verso la porta degli azzurri. A un certo punto Karl-Heinz lo guarda: non c’è più tempo. E gli viene in mente un pensiero assurdo, ma pratico quanto lui: se si sposta un poco più avanti, uscirà prima dal campo, evitando la noia delle maglie da scambiare e l’inseguimento di qualche tifoso . Sono trascorsi quasi due minuti di recupero e nessuno lo guarda. Era giusto recuperare quei due minuti e lui ci si è infilato dentro come nei calzoni di un altro. E’ al centro dell’area e di tutto, in quell’istante fatale, in completa solitudine. Precipitato lì come un asteroide. Ed eccolo, infine, protendersi in spaccata verso la palla , allungare il piede destro, coordinarsi nello scivolone, raggiungere quella palla e toccarla nell’unico modo possibile. E’ così che Carlo il Biondo segna il suo unico gol in Nazionale.
Pare che Rivera dopo gli abbia semplicemente domandato: “Ma tu che ci facevi lì ?”
“Me ne stavo andando”.
Oggi se n’è andato Karl Heinz Schnellinger .

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