di Antonio Oliverio per IlParagone
Avevano osato chiedere informazioni sugli eventuali effetti avversi, prima di dare il proprio consenso cosiddetto “informato” in merito al vaccino contro il Covid-19, e avevano osato chiedere un certificato di esenzione. Tanto era bastato per mandare a processo due cittadini di Guardiagrele, in provincia di Chieti, che intendevano sottoporsi ad alcuni esami diagnostici prima di sottoporsi al vaccino anti Covid. Ci ha pensato la sentenza emessa da Luca De Ninis, Gip del Tribunale di Chieti, a sancire che “il fatto non sussiste”. E dunque si ingrossa la pioggia di sentenze che, un po’ in ritardo, sta demolendo l’intero impianto vaccinale e dell’obbligo di Green pass. La sentenza in questione fa anche di più: chiede, piuttosto, di indagare sulla condotta del personale sanitario. Era il 19 febbraio 2022, allorché Pietro Ferrante e F.A., presso il centro vaccinale dell’Ospedale civile di Guardiagrele, a colloquio con dalla dottoressa Mirella Primante chiedevano la prescrizione del vaccino o, in alternativa, di effettuare alcuni esami diagnostici per valutare la compatibilità dell’inoculazione, nonché, in attesa degli esiti, un certificato di esenzione temporanea. Tutto qui.
I fatti
“Atti non dovuti”, quelli richiesti, per la dottoressa Primante. Irremovibile lei, convinti delle proprie legittime richieste i due, erano infine dovuti intervenire i carabinieri, allertati dalla struttura ospedaliera. Il reato contestato ai due uomini era, dunque, di “Interruzione in concorso del servizio vaccinale, qualificato servizio pubblico e/o di pubblica necessità”. Ma la sentenza rovescia il punto di vista, per così dire, e il magistrato ha stabilito che non si fosse configurato alcun tipo di reato, né dal punto di vista dell’intenzione – il cosiddetto elemento soggettivo – né dal punto di vista della condotta – l’elemento oggettivo – “determinata da reiterati illegittimi rifiuti del medico vaccinatore alle richieste del paziente”. Anzi, viene di fatto rovesciato il paradigma ed è, dunque, l’operato del medico vaccinatore “e degli eventuali soggetti a lui sovraordinati” che dovrà essere valutato. Ma il passaggio emblematico della sentenza è il seguente: “L’approssimazione e l’aporia che hanno caratterizzato l’intera campagna vaccinale” vengono stigmatizzati dal giudice De Ninis, le difficoltà del medico a fornire indicazioni adeguate a “fondare un serio consenso informato”. In conclusione, il giudice del Tribunale di Chieti stabilisce che “sarebbe stato preferibile sollecitare e introdurre, nella procedura di vaccinazione, un atto che formalizzasse in maniera univoca il completamento di tale valutazione da parte dei medici vaccinatori”, si può leggere su La Verità .
Un cambio di paradigma
Insomma, i Tribunali tornano a essere garanti dei diritti dei cittadini, ma qualcuno dovrà pur pagare per una gestione talmente pasticciata dell’intera emergenza sanitaria, emergenza vera o presunta, per le limitazioni alle libertà costituzionali dei cittadini italiani, al vero e proprio ricatto che avveniva al momento di sottoscrivere un consenso che di “informato” aveva soltanto la dicitura. Ne dovrebbero rispondere tanto dal punto di vista giuridico quanto di fronte alla propria coscienza.
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