Fabio Fazio fu ‘inventato’ come personaggio dal vecchio PCI nel lontano 1989: milionario da decenni grazie alla loro protezione ed ai soldi degli italiani

di Gian Stefano Spoto per L’Opinione

Bologna, 1989. Il capo-tecnico della sede regionale Rai è bravo, educato, amabile. Un giorno, sommessamente, inizia a nominare un giovane emergente, tale Fabio Fazio, apprezzandone le qualità professionali ancora semi-inesplorate. Il suo giovane vice, in un’altra sala di montaggio, gli fa eco, in sincrono.

Il primo è anche il capo della sezione Rai del Pci, piccolo, ma disciplinato esercito, sempre pronto a diffondere il verbo del Bottegone romano: l’ultimo ordine di scuderia è lanciare Fabio Fazio, il prescelto.

Dopo il lavoro la cellula Rai si riuniva spesso. Nessuno dei suoi componenti è mai stato arrogante, maleducato, nemmeno insistente: la loro arma era la bassa voce con cui diffondevano capillarmente ogni ordine del giorno.

Passano trent’anni e più, il Pci si allontana dall’Unione Sovietica, cambia più volte nome, capi e capetti, il concetto di sinistra sfuma miseramente, ma le tendenze imposte dall’alto continuano a serpeggiare sul web, dove Fabio Fazio è diventato un simbolo, anche se non si sa di che cosa: è un porta-ordini mellifluo e passivo, ha una gamma di espressioni che vanno dal sorriso finto all’ammirazione di circostanza.

Ma è bravo, lo disse il capo-tecnico la cui voce echeggia ancor oggi fra i guerrieri delle tastiere, quelli che improvvisamente scoprono di conoscere alla perfezione i conti e il funzionamento della Rai, dai finanziamenti alla pubblicità che Fazio, solo Fazio, sa attirare. E sparano cifre e dati, loro che sanno tutto, mica i dirigenti che ci lavorano da trent’anni.

Disoccupati, impiegati da millequattro al mese, sognatori di un mondo migliore si commuovono ossessionati da quel numero magico, il 9. Fazio in Rai deve avere guadagnato circa nove milioni, e altri nove li dovrà spillare alla Nove. Non ce la fanno a pagare il gas, ma li preoccupa il fatto che non sia più la Rai a erogare ingenti ricchezze a questo idolo del grigio spinto e alla sua sboccata valletta. Fino al giorno prima imprecavano contro il canone, ora si preoccupano per la voragine in cui precipiterà la tv pubblica senza il suo uomo salva-vita.

Intanto le Amministrative confermano che il centrodestra continua a piacere agli italiani silenziosi, mentre quella che, ormai, è un’assodata minoranza, prosegue il giochetto del politicamente corretto e grida allo scandalo quando un governo sgradito cambia gli assetti che, invece, dovevano rimanere intatti per volere divino.

Ma forse l’Italia vive da sempre una commedia in cui ognuno ha il suo ruolo: ora i personaggi sono i capalbiesi schifati, gli anonimi del ribaltone, il buono che se ne va, gli usurpatori comunque pessimi, la maggioranza, silenziosa per definizione.

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