Roberto Speranza e le indegne parole sui ‘tempi bui del fascismo’: l’essere immondo, dopo due anni di vessazioni ha ancora a sua disposizione la platea dal PD che lo accoglie come un messia

di Pietro Senaldi per Libero

Compagni dai campi e dalle officine, voi non ci siete più, ma in compenso è tornato l’ex ministro Speranza, con un discorso che rilancia il Pd indietro di settant’anni, ai tempi di Peppone. Solo che il comunista in versione 4.0 non ha i baffi ma neppure la simpatia e l’umanità del prototipo stilizzato da Guareschi.

L’ex scissionista dem, già fondatore di Articolo 1, ha poco più di quarant’anni, ma a sentirlo parlare pare il nonno di Bersani, un grigio antenato di Landini, un Bertinotti privo di verve e cultura. Vive in un altro tempo, tant’è che evoca “i tempi bui” del fascismo come fossero realtà d’oggi. È forse finalmente la prova inconfutabile che il Covid può avere pesanti effetti sui neuroni, estraniandoti dalla realtà come nessun lockdown ha fatto mai.

L’immemore vaneggia di unità della sinistra, spiegando che è «una scelta moralmente e politicamente obbligatoria», scordandosi di aver contribuito per primo a frantumarlo il Pd, andandosene quando il partito era al 40% dopo essere arrivato terzo su tre alle primarie. Cercava la sua via più a sinistra, ma si è trovato sorpassato da Fratoianni e Conte, perché per fondare un partito non basta avere un padrino come D’Alema alle spalle e una lettera di raccomandazione di Bersani; servono anche carisma, idee e, possibilmente una visione del mondo proiettata in avanti e non all’indietro.

Speranza chiede un «momento di serietà», ma per non scoppiare a ridere nel sentirlo bisogna essere stati almeno un funzionario della Ddr. I suoi discorsi sono la retorica del nulla. Probabilmente fa sempre lo stesso dai tempi dei collettivi studenteschi, che lui però, anagrafe alla mano, ha iniziato a fare quando il Muro di Berlino era già crollato da un pezzo. D’altronde l’uomo è uno spot dell’arretratezza. Chiede ai dem che lo riaccolgono per dovere e con scarso entusiasmo «coraggio per ripartire». Lui ne dimostra molto a presentarsi come valore aggiunto anziché nella sua dimensione di superstite di una catastrofe politica, il governo giallorosso, in cui il ministro ebbe un ruolo di primo piano, il solo esecutivo al mondo sostituito in tempi di pandemia per manifesta incapacità.

Per dovere di cronaca riportiamo il punto saliente della sua omelia laica, quando Speranza spiega di battersi per una «società più giusta e inclusiva, che metta al centro il lavoro e la questione dei poveri». Si suppone che la circostanza che da quando lui è in Parlamento, quasi sempre nella maggioranza di governo, siano raddoppiati i diseredati, le condizioni di lavoro siano peggiorate e ci siano più richieste del mercato inevase che redditi di cittadinanza non lo induca minimamente a considerare di avere una qualche responsabilità nel disastro.

Ma perché ragionare così tanto dell’ex ministro, che è destinato almeno per un po’ a rimanere ai margini? Perché se il probabile vincitore della corsa alla segreteria, il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha dovuto dichiarare non più di quarantotto ore fa di essere orgoglioso del suo passato comunista è solo in quanto per scalare la sinistra, ancora oggi, nel 2023, bisogna essere disposti a baciare la pantofola di Speranza e di quelli come lui. Il comunismo, o comunque qualcosa di rosso, ottuso e tremendamente antico, sopravvive nel dna del Pd. È quello che ha costretto Enrico Letta, ringraziato perla prima volta sinceramente dal partito solo ieri, nel momento in cui lasciava il timone, e forse unicamente per questo, a suicidarsi politicamente nell’estate scorsa, perdendosi il voto della sinistra progressista per inseguire i grillini.

E d’altronde, attese le scarse chance di Cuperlo, brava persona, che seriamente si sta ponendo il problema di dove deve andare la baracca, e della De Micheli, con il difetto imperdonabile di avere le idee chiare e voler fare una volta di testa sua, il nostalgico Bonaccini segretario dem è la cosa più augurabile, perla sinistra e anche per il Paese.

Se infatti vincesse Elly Schlein, ci ritroveremmo con un cocktail di comunismo, gretinismo, femminismo, ideologismo lgbt che in confronto i talebani che abbatterono a cannonate i Buddah millenari scavati nella roccia in Afghanistan sono gente illuminata. Ma non tutto il male torna per nuocere. Finché tra i dem ci sarà gente come Speranza, nel centrodestra ci sarà una speranza per tutti di andare al governo e restarci a lungo.

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