“Voglio sapere cosa c’era in quelle flebo”. Calcio e doping, dopo le morti di Vialli e Mihajlovic, l’appello dell’ex difensore Massimo Brambati

Ha militato in squadre blasonate della Serie A italiana, come Bari, Torino e Palermo. Oggi Massimo Brambati, 56 anni, ha deciso di intervenire per dire la sua sul delicato tema delle sostanze ricevute in passato dai calciatori per migliorarne le prestazioni atletiche, senza pensare alle conseguenze per la salute. Intervistato da Repubblica, l’ex difensore ha raccontato di aver ricevuto flebo di colore rosa prima delle partite, come già confermato dall’allora compagno di squadra Florin Raducioiu. “Non erano vietate, tanto che ai controlli antidoping risultavo negativo. Però ora vorrei sapere cosa c’era dentro. I dottori e i massaggiatori ci dicevano ‘sono zuccheri, vai tranquillo’. Ma io la tranquillità l’ho persa dopo aver visto cosa è successo ai miei colleghi”.

A parlare dello stesso tema era stato nei giorni scorsi anche Dino Baggio. “E io lo ringrazio – ha spiegato Brambati nel corso dell’intervista – Ha avuto le palle di dire quello che pensiamo tutti. Io parlai a inizio 2000 e la Federcalcio mi diffidò”. All’epoca, il calciatore aveva denunciato la pratica delle flebo somministrate agli atleti della Nazionale Olimpica, scatenando forti polemiche.

A Repubblica, Brambati ha spiegato che quelle pratiche all’epoca erano d’abitudine: “Anche nei club. Il sabato sera, più spesso la domenica mattina, passava il medico o il massaggiatore nelle stanze dell’hotel in cui eravamo in ritiro e noi porgevamo il braccio. Se oggi un calciatore di quei tempi si alza e dice ‘a me non è mai successo’, sappiate tutti che sta mentendo”.

Veniva dato agli atleti anche il Micoren, un analettico respiratorio da prescriversi in caso di asma e bassa pressione: “Invece io da ragazzo lo prendevo in quantità, come fossero caramelle. Mi dicevano: Ti aiuta a rompere il fiato, allarga la tua capacità polmonare . Ed effettivamente i benefici li sentivo, in partita: ricordo che andavo sotto sforzo non dopo uno ma magari dopo tre scatti da 70-80 metri. Ovvio, mica me lo davano per l’alito cattivo”.

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