Matteo Messina Denaro non solo sciolse un bimbo nell’acido: il suo primo delitto fu strangolare con le sue mani una giovane donna incinta

Da giovanissimo scala la gerarchia di Cosa Nostra grazie a Provenzano. E’ accusato delle stragi di mafia ma solo dal 2016 di essere tra i mandanti degli omicidi Falcone e Borsellino. Già sequestrati patrimoni per 4 miliardi. Ma c’è chi dubita del suo potere, dentro e fuori la mafia.

Matteo Messina Denaro nasce a Castelvetrano (Trapani) il 26 aprile del 1962. Suo padre Francesco è ritenuto il capo della famiglia locale ma esercitava il suo potere sull’intera provincia di Trapani e alcune zone di quella di Agrigento. Studi interrotti al liceo scientifico, amante delle auto sportive e dei Rolex, Matteo viene soprannominato “u siccu” per la sua corporatura magra ma anche Diabolik, il personaggio del suo fumetto preferito. La prima testimonianze sulla gioventù e sul carattere di Messina Denaro la rende il pentito Balduccio Di Maggio che le definisce “giovane rampante” che si era guadagnato spazio in virtù di essere figlio del boss Francesco. Suo unico lavoro conosciuto è l’amministrazione di alcune aziende agricole per conto della famiglia D’Alì.

Il primo delitto: due corpi strangolati e sepolti

Il primo delitto attribuito a Matteo Messina Denaro è del 1991 (ma gli verrà contestato solo qualche anno dopo); la vittima è Nicola Consales, un albergatore trapanese che avrebbe infastidito una cameriera sua dipendente ma che era anche l’amante di Matteo. Un anno dopo, secondo i pentito, il piccolo boss compie invece un duplice omicidio che ne fa emergere la tempra di feroce e determinato assassino: le vittime sono Vincenzo Milazzo, un esponente dei clan di Alcamo colpevole di insubordinazione ai capi e la fidanzata Antonella Bonomo. Vengono entrambi strangolati (la donna è incinta di tre mesi) e sepolti in una spiaggia a Castellamare del Golfo. I cadaveri dentro sacchi di plastica verranno fatti ritrovare da un pentito tre anni dopo.

Nel gotha della mafia grazie a Provenzano

Nonostante la giovane età, Matteo scala la gerarchica di Cosa Nostra. Suo mentore è Bernardo Provenzano: quando quest’ultimo verrà arrestato nel covo saranno trovati “pizzini” devoti firmati da un certo “Alessio”. Gli inquirenti sono convinti che dietro quel nome si nascondesse Messina Denaro. Di fatto il giovane viene inviato a Roma a fare sopralluoghi per l’attentato contro Maurizio Costanzo ed è coinvolto nell’esecuzione degli attentati del 1993 di Firenze, Roma e Milano che costituiscono l’offensiva stragista della mafia contro lo Stato. Il suo nome, nelle confessioni dei pentiti, viene costantemente affiancato a quello dei fratelli Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, ormai inserito tra quelli che contano nel gotha di Cosa Nostra.

La latitanza, le accuse, le condanne

Ufficialmente la latitanza di Matteo Messina Denaro comincia nel giugno del 1993: nei suoi confronti viene emessa un’ordinanza di custodia cautelare per gli omicidi commessi dal ‘91 in poi. L’ultima sua “traccia” da uomo libero è la presenza in un albergo di Forte dei Marmi per alcuni giorni di vacanza. Da lì in avanti scompare e le informazioni sui suoi spostamenti sono solo il “de relato” di pentiti e informatori. Vincenzo Sinacori, uno di questi, racconta che nel ‘94 il boss scomparso si è fatto ricoverare in una clinica oculistica di Barcellona, in Spagna, per la correzione di una forma di strabismo e di miopia. In quegli stessi anni la magistratura comincia a delineare le accuse e il profilo criminale : nel 2002 viene condannato definitivamente all’ergastolo come esecutore delle stragi del ‘93 e per l’atroce morte riservata a Giuseppe Di Matteo, il bimbo di 10 anni sciolto nell’acido perché figlio del pentito della strage di Capaci. Solo nel gennaio 2016, invece, il gip di Caltanissetta ha emesso una nuova ordinanza contro Messina Denaro in quanto mandante della morte dei giudici Falcone e Borsellino.

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