“Non potevo fare altrimenti, la casa stava per crollare” Parla l’uomo che ha steso il vicino albanese che voleva abbattergli casa con una ruspa

Marco Gasperetti per il “Corriere della Sera”

È appena stato scarcerato. Parla a fatica, piange, si dispera. Sandro Mugnai, 53 anni, è il fabbro accusato di omicidio volontario per aver ucciso con il suo fucile da caccia un vicino di casa, Gezim Dodoli, 59 anni, impresario edile albanese, che a bordo di una ruspa la sera del 5 gennaio ha assaltato la sua casa alla periferia di Arezzo mentre era a cena con i familiari.

«Sono un uomo disperato anche se convinto d’essere innocente – dice aiutato dai suoi legali, Marzia Lelli, amica di famiglia, e Piero Melani Gaverini -. Ho agito per salvare la mia famiglia. Quell’uomo stava facendo crollare la nostra casa, eravamo in trappola come topi. Non avevo altra scelta che sparare».

Aveva mai conosciuto il carcere?

«Mai, ho la fedina penale candida, sono un uomo per bene, un volontario, mi piace aiutare le persone. Adesso ci sono stato quattro giorni in galera. Ero in isolamento, ed è stata una esperienza terribile. Ma neppure per un attimo ho pensato di essere colpevole».

Lei è accusato di omicidio volontario anche se il reato potrebbe essere derubricato in eccesso di legittima difesa. Come ha vissuto i giorni in cella?

«Gli agenti di custodia sono stati straordinari. Cercavano di farmi coraggio. Mi dicevano di stare tranquillo, di non essere così disperato, che probabilmente sarei uscito presto e avrei potuto riabbracciare mia moglie e i miei figli. Hanno avuto ragione loro. Li ringrazio tantissimo come ringrazio il giudice che mi ha scarcerato».

Può raccontarci quei momenti? Perché ha sparato a quell’uomo?

«Lo ripeto, non avevo scelta. Eravamo in sette a tavola per festeggiare l’Epifania, la notte dei regali. Tutti allegri, tutti felici. C’erano mia moglie Maria Luisa, mia madre Fortunata, mio figlio Michele, mio fratello Massimo, sua moglie Maria Cristina e il loro figlio. A un certo punto sentiamo un frastuono in giardino. Mio fratello si è affacciato alla finestra e si è messo a urlare. “C’è un pazzo che con la ruspa sta distruggendo le nostre auto”. Mi sono affacciato anch’ io e ho visto il mio vicino di casa che cercava di aprire un varco tra le macchine parcheggiate. Poi si è scagliato contro la casa. Massimo ha cercato di uscire per fermarlo ma lui ha tentato di schiacciarlo e con la benna ha danneggiato la porta d’ingresso. Si è salvato per un miracolo».

Ma perché non siete fuggiti?

«Non era possibile. Dodoli aveva semidistrutto la porta bloccandola, l’unica via d’uscita. Gli urlavo di andare via ma non si fermava. È stato un vero incubo. La casa tremava perché lui aveva iniziato a distruggere il tetto. Tutti gridavano terrorizzati. Ho preso il fucile da caccia, pensavo che forse sarei riuscito a spaventarlo, a farlo ragionare. E invece…».

E invece?

«Ha continuato a colpire la casa. Ho sparato il primo colpo di avvertimento a terra, ma lui non si è fermato. Gli infissi della casa si muovevano, cadevano calcinacci. I miei familiari gridavano disperati. Ho sparato ancora».

Quanti colpi?

«Credo tre, forse quattro. Miravo in basso sperando di ferirlo alle gambe. Ad un tratto la ruspa si è fermata. Ho salvato le vite della mia famiglia e la mia. Ma a un prezzo altissimo. Piango ancora per quell’uomo, però ripeto: non c’erano altre possibilità».

Il gip ha scritto che lei «ha sicuramente agito per difendere la vita dei propri familiari e non la proprietà».

«Sì, e lo ringrazio ancora, ma il dolore e la disperazione restano».

Come si spiega il comportamento del suo vicino di casa?

«Non ci riesco. C’era stato un litigio un mese fa con mia madre perché lui suonava la batteria alle 2 di notte. Nient’ altro. Io continuavo a salutarlo».

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