Conte senza ritegno gioca a fare il Masaniello di serie B soffiando sulla rivolta dei fancazzisti del reddito

Non è vero che dopo che hai trascorso anni a palazzo Chigi e ti sei fatto fotografare in doppiopetto e pochette assieme agli altri leader internazionali, non puoi più essere un arruffapopolo credibile: dipende da cosa hai da offrire agli arruffati. E Giuseppe Conte ai percettori del reddito di cittadinanza, e dunque soprattutto ai meridionali, offre il sogno più grande: il mantenimento dell’assegno con le regole attuali, vita natural durante.

L’occasione gliel’ha fornita Giorgia Meloni, decretando nella legge di bilancio la fine del beneficio dal 2024 e la sua riduzione ad un massimo di otto mesi nel 2023. Con il sovrappiù, per chi può lavorare, dell’obbligo di frequentare per sei mesi un corso di formazione professionale. Troppo, per coloro che in questi anni erano stati abituati ad incassare senza fare nulla, ed è a loro che si rivolge il capo dei Cinque Stelle nella sua opera di arruffamento e mobilitazione.

LA SFIDA VERA
Una battaglia il cui bersaglio vero, però, non è il governo, bensì il Pd: il Conte Masaniello sta lanciando l’opa sugli elettori di sinistra, approfittando dello sbandamento dei democratici. Li ha già sorpassati nei sondaggi post-elettorali: nella media delle rilevazioni, oggi il M5S ha il 17,3% delle intenzioni di voto e cresce, mentre il Pd ha il 16,6% e scende. Ma la danza è appena iniziata, e quando al Nazareno entrerà in scena il nuovo segretario la musica cambierà.

Conte vuole usare queste settimane per accreditarsi come líder máximo dell’opposizione. Così, tolte cravatta e pochette, rimpiazzata la camicia bianca con un maglione blu di cachemire a collo alto, che fa molto esistenzialista progressista e gli leva un po’ della residua patina istituzionale, ha iniziato il suo tour da rockstar del reddito di cittadinanza: chi vuole che nulla cambi, risponda al suo appello. Prima tappa inevitabile, Napoli, dove vivono 167.289 famiglie mantenute da quell’assegno, il 13% del totale nazionale. E per la precisione i quartiere di San Giovanni a Teduccio e Scampia, dove la concentrazione di beneficiati è più alta e poche settimane fa il M5S ha preso il 45,5% dei voti.

Tra loro, l’ex premier discende come l’angelo che promette salvezza, l’avvocato del popolo degli «invisibili». Spiega sdegnato che «quella del governo non è una manovra, è una guerra ai poveri che amplia la faglia della diseguaglianza sociale». Sobilla mentre nega di farlo, si presenta come l’interfaccia tra il palazzo e le pulsioni rivoltose e non come il leader politico che le eccita e le cavalca. È l’incendiario vestito da pompiere.

Dice di temere «disordini e tensione nelle piazze per la manovra del governo», ma per fortuna ci sono loro, i Cinque Stelle: «Noi saremo in piazza per canalizzare in una misura politica la disperazione della gente». Il compito suo e del movimento sarà «dare una rappresentanza politica alla rabbia, per evitare che le difficoltà economiche portino alla disperazione e a gesti inconsulti». Ai beneficiati di Scampia, che lo guardano come la Madonna pellegrina, promette che «porteremo le vostre storie in piazza a Roma, il governo non giri la testa dall’altra parte».

Ogni sua frase è quella che vuole sentirsi dire chi crede di avere diritto al sussidio eterno: «La povertà non è una colpa. Tutti possono trovarsi in difficoltà. Fa una campagna vergognosa chi li accusa di volere il metadone di Stato come fossero dei tossicodipendenti», e via così. I cambiamenti al reddito di cittadinanza? Con la massima calma: «Abbiamo sempre detto che questa riforma non si realizza nell’arco di un anno. In Germania hanno impiegato dieci anni per mettere a punto un sistema di politiche attive efficienti». Riparliamone nel 2029, insomma.

L’ASSE CON LANDINI
È stato il primo contatto con la piazza inferocita, ne seguiranno altri. Anche al Nord, per non dare l’impressione che il M5S si è ridotto ad essere il partito del Mezzogiorno, ma soprattutto da Napoli in giù. E alla fine, avverte, «dopo essere stati in giro per l’Italia, ci sarà una manifestazione a Roma e confidiamo che il governo ci ascolti». Ne parlerà lunedì col leader della Cgil, Maurizio Landini, suo probabile compagno di strada. Così, se nella partita per il controllo del Pd la spunteranno quelli che ora citano Marx e Lenin e definiscono «liberista» il programma di Walter Veltroni, Conte sarà già più avanti e potrà trattare con loro da una posizione forte. Se vincerà invece l’ala riformista impersonata da Stefano Bonaccini, Conte potrà dire di avere il monopolio della sinistra italiana. Win-win, direbbero i politologi: comunque vada a finire lì, lui vince. A ciammiello, dicono a Scampia.

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