Macron indagato, finalmente sappiamo chi lo ha messo letteralmente a libro paga: citofonare a Banca McKinsey

Era nell’aria. Eppure Emmanuel Macron si era sempre mostrato sicuro di sé: «Se ci sono prove di manipolazione, che si vada in tribunale», diceva lo scorso marzo quando la commissione d’inchiesta del Senato svelò per la prima volta quanto il presidente della Repubblica avesse attinto – da candidato e poi da inquilino dell’Eliseo – a consulenze internazionali da privati, che oltretutto pagavano pochissime tasse in Francia. O non le pagavano affatto. Ora si muove la magistratura. Con due inchieste: una sulla «corsa» 2017 e una sulle presidenziali 2022.

L’indagato è Macron, svela il quotidiano Le Parisien. L’accusa sarebbe di «favoritismo» oltreché di «finanziamento illecito della campagna elettorale» 2017. La Procura per i reati finanziari (la Pnf) conferma i due fascicoli. Senza però citare il presidente. Insomma, una non smentita; seguita da un glaciale «no comment» dell’Eliseo.

Tanto basta per accendere la miccia politica. Una gigantesca tegola giudiziaria – la prima per Macron – che rischia di sgretolare l’immagine di un capo dello Stato già alle prese con l’accusa d’aver favorito i ricchi, dopo la pubblicazione degli stipendi dei patron dei grandi gruppi francesi, con il 2021 che ha registrato un record.

L’inchiesta McKinsey, perfino incentivata da Macron nei mesi scorsi, diventa quindi un boomerang. A causa dei «legami» scovati tra il leader francese, il suo entourage e la società americana. Da quando Macron era ministro e scelse di correre per l’Eliseo, fin quando, eletto e in carica, dal suo governo vengono commissionate analisi d’ogni genere al gruppo americano.

La McKinsey era già sospettata dalla procura di «riciclaggio aggravato da frode fiscale». Il caso esplose a pochi giorni dal primo turno delle scorse presidenziali. In tv Macron smentì ogni «schema» o «combine» col gruppo statunitense, spiegando che i contratti a peso d’oro erano conformi alle norme, e non in cambio di qualcosa: «Nessuno firmato senza gara e appalto pubblico», disse il presidente il 27 marzo. Erano però numerosi, e anche i giornali, da Le Monde agli altri, faticavano a intravedere la necessità di alcuni.

Ora c’è da capire se McKinsey ha invece lavorato gratuitamente per il Macron candidato, per ottenere poi commesse milionarie durante il mandato. E se dunque l’azienda ha finanziato illecitamente le sue campagna.

A smuovere i giudici è stato il Senato, da cui era emerso che la società americana non avrebbe pagato tutte le imposte in Francia tra il 2011 e il 2020 e che le commesse dello Stato per consulenze private erano «più che raddoppiate» tra il 2018 e il 2021, per una spesa pubblica di oltre un miliardo di euro nel 2021.

Dai faldoni della procura, il nome del capo dello Stato era rimasto fuori. Nuovi elementi hanno portato la Pnf ad aprire altre due inchieste il 20 e 21 ottobre 2022, e indagare pure su Macron. Se il ricorso a consulenti privati, da parte dell’esecutivo, era infatti già noto dalla primavera, tanto d’essere argomento di dibattito tv contro Marine Le Pen alla vigilia del voto che ha confermato Macron all’Eliseo, ora sembra emergere altro.

Lo scorso maggio gli uffici di McKinsey sugli Champs Elysées furono perquisiti nell’ambito dell’inchiesta preliminare aperta il 31 marzo, quella per riciclaggio aggravato da frode fiscale. Ora si parla di un «legame» da chiarire. Un potenziale dare-avere, insomma, da verificare, che pesa come un macigno sull’immagine del presidente. «È positivo che i giudici si occupino di un caso quando si dice che un’azienda ha frodato», era stato il commento primaverile di Macron. «La giustizia deve indagare in piena indipendenza», la nota diramata dall’Eliseo nella serata di ieri.

Non una parola sull’influenza delle società private sulle politiche pubbliche. Né su certe relazioni in chiaroscuro o sui ruoli ricoperti da dirigenti dell’azienda Usa nella campagna 2017 di Macron; protetto dall’immunità penale e senza poter essere ascoltato in procura.

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