Reddito di cittadinanza, fine della pacchia per i fannulloni: la stretta, più forte del previsto, scatta nel prossimo giugno

La stretta, più forte del previsto, scatta a giugno. Controlli sulla residenza in Italia. La Lega frena su pensioni e cartelle

di Emanuele Lauria per Repubblica

ROMA – La stretta al reddito di cittadinanza, alla fine, è più forte del previsto. E Giorgia Meloni la annuncia senza perifrasi, in un preambolo del vertice di maggioranza sulla manovra che ruota per gran parte attorno a questo tema: «Dobbiamo eliminare un sussidio immorale per tutti quelli che sono in condizioni di lavorare». Indica anche una data, la premier: lo stop scatterà entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di Bilancio, dunque a giugno 2023. Da quel momento in poi, beneficio assicurato solo a persone in condizioni di oggettiva difficoltà: ad esempio disabili o chi ha famiglie numerose.

È ancora un’ipotesi, che si affianca ad altre più complesse, ma il governo ha già le tabelle pronte: gli “occupabili” oggi sono 660 mila e la cancellazione del reddito per questa fascia comporterebbe un risparmio di 1,8-2 miliardi di euro. Il giro di vite, d’altronde, è condito da un altro annuncio della presidente del consiglio: un accurato monitoraggio dei percettori del sussidio per verificare che tutti risiedano davvero in Italia. Così Meloni mette in pratica un impegno preso in campagna elettorale, davanti a una folla di alleati (una trentina fra ministri e capigruppo) riuniti nella sala verde di Palazzo Chigi: nessuno batte ciglio, neanche gli esponenti di Lega e Forza Italia che erano su una posizione più soft. La misura va bene, spiegano, perché non si tratterebbe di un’abolizione tout court ma di una revisione del provvedimento caro ai 5Stelle.

È un atto che la premier porta avanti assieme all’impegno di tutelare i redditi bassi, i giovani e gli anziani. Dentro una legge di bilancio che ha scarse risorse: trenta miliardi, di cui 21 destinati a far fronte al caro-energia. Non a caso, Meloni blocca sul nascere qualsiasi tentativo di assalto alla diligenza: «Siamo costretti a pensare a interventi a saldi invariati», dice Meloni. Non ci sono i soldi per mantenere le promesse elettorali. Non quest’anno, almeno. Un messaggio inviato alla Lega, che su pensioni e Flat tax deve mordere il freno: si supererà la Fornero ma con un approdo a «Quota 103» (a riposo a 62 anni, ma solo con 41 anni di contributo) e tassa piatta soltanto per partite Iva e autonomi con ricavi fino a 85 mila euro.

Anche la pace fiscale si limita a una tregua: cancellate le cartelle fino a mille euro, sconto su sanzioni e interessi (5%) per quelle fino a tremila euro. C’è invece un brusco stop allo scudo fiscale per i capitali che rientrano dall’estero: la misura viene accantonata ufficialmente per «un approfondimento», ma sullo sfondo ci sarebbero le perplessità della Ragioneria dello Stato.

Matteo Salvini si fa carico, vista la esiguità dei fondi, di una “gradualità” delle misure che porta in sé nei fatti un rinvio ai prossimi anni. Forza Italia invece si batte fino all’ultimo per mettere subito in manovra alcune delle proprie bandiere: le pensioni minime a mille euro, ad esempio. «Per gli over 75 con Isee inferiore ai 15 mila euro questa norma costa due miliardi di euro. Si trovano», dice il capogruppo alla Camera Alessandro Cattaneo. «C’è tempo fino a lunedì», dice speranzosa l’omologa al Senato Licia Ronzulli.

FI batte pure per la detassazione totale per i nuovi assunti under 34 per 2-3 anni. E chiede coperture sulla cessione dei crediti del Superbonus edilizio. Ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa muro. Così come, sempre per tenere i conti in ordine, si trova a frenare sulla richiesta di esponenti del suo partito – Molinari e Romeo – di mantenere lo sconto sulle accise sui carburanti. «Ho rappresentato un quadro di prudenza e confido nel fatto che le forze politiche con responsabilità sosterranno l’ approccio», dice Giorgetti. In attesa del round finale, lunedì (o martedì) in consiglio dei ministri.

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