“Fascista! Guerrafondaio!” Enrico Letta contestato a Roma alla manifestazione per la pace: cosi’ ipocrita da presentarsi come se nulla fosse dopo mesi di totale appoggio alla peggio feccia del Pentagono

Goffredo Buccini per il Corriere della Sera

Uno ammonisce, pontifica e si concede ai selfie, che manco il Salvini degli anni ruggenti. L’altro resiste come può agli ululati, agli insulti, all’imbarazzo, finché non esce dal corteo e forse da un pezzo della propria storia. Ci sono momenti così, quando due destini s’ incrociano: questo sabato romano è una porta girevole per Conte e Letta.

Fra vent’anni pochi forse s’ interesseranno al fatto che la guerra di Putin, oltre a sconvolgere il mondo, ha mutato perfino le sorti della sinistra italiana, vera o sedicente che sia. Eppure, nelle noticine a piè di pagina ci sarà anche questa manifestazione per la pace a piazza San Giovanni, ottanta o centomila in corteo, 600 sigle, pochissime bandiere gialloblù dell’Ucraina, tanto rosso antico Cgil, spruzzate di Potere al Popolo, tanti vessilli di Sant’ Egidio e Acli, tanti cartelli contro la Nato. E loro due. Conte e Letta, «Giuseppi» ed «Enrico-stai-sereno».

Distanti ma avvinti in un cambio della guardia quasi plastico. L’autodafé del Pd atlantista con slittamento verso il canone classico del pacifismo cattocomunista (ora in salsa neo-grillina) si celebra tutto quanto in due scene.

All’una di pomeriggio il corteo non s’ è ancora mosso, tira aria da remake, Berkeley anni Sessanta, Fragole e sangue per noi più grigi sulle note tambureggianti di Give peace a chance . Museo della contestazione, età media 55 anni. Eppure, sul lato di piazza della Repubblica c’è una specie di vortice modernista di telefonini, telecamere, microfoni. E un uomo solo in mezzo, forse al comando: l’avvocato di Volturara Appula senza più pochette, in girocollo nero esistenzialista, la Taverna e la Castellone come angeli custodi, uno striscione «Dalla parte della pace» davanti. «Bello come il sole», mormora una pantera pentastellata in ordinata fila per la photo-op. Sì, c’è il servizio d’ordine che tiene a bada il suo popolo, tante signore, «due metri indietro, per favore, non spingete». Un popolo che invece adesso spinge perché s’ è allargato d’un bel po’: lo dicono i sondaggi, del quasi incredibile aggancio al Pd.

Lo certifica il colpo d’occhio. Ci sono le partigiane, per dire.

Gabriella Collaveri, Anpi di Livorno, sospira con mirabile sintesi politica alla domanda se Conte sia di sinistra o meno: « ‘Un lo so! Ma è l’unico che dice qualcosa per quelli bassi come noi». E accidenti se dice: ha appena ammonito il ministro Crosetto di «non azzardarsi a mandare altre armi all’Ucraina senza passare per il Parlamento». Sicché da dietro, pressano al grido di «Con-te, Con-te!». Il dilettante che doveva celebrare le esequie Cinque Stelle s’ è preso il cuore di questa gente con due mosse facili e populiste: prima il reddito, poi la pace.

Il resto è contorno per la seconda scena rivelatrice. Dopo essere stato fantasma per un paio d’ore («Verrà o no?»), Letta si materializza a metà corteo, dalle parti di via Merulana. Militanti del Pd e pentastellati stanno a distanza di circa un chilometro, col cuscinetto dei cattolici tra loro. Il segretario dovrebbe entrare tra i cordoni di Acli e Sant’ Egidio. Finora è andato tutto liscio. Il popolo del corteo s’ è digerito pure Fassino, che certo non è un appeaser. Una signora vestita in arcobaleno lo approccia: «La smettano di alimentare questa guerra».

Lui, strenuo difensore dell’Ucraina libera e armata, non fa un plissé e risponde con un «va bene». Ci sono Bonaccini e la De Micheli (vagamente situazionista: «Ho troppo rispetto di queste persone per parlare di politica»). Ci sono Nardella e Provenzano e nessuno se n’adonta. Zingaretti, figurarsi, già ponte verso Giuseppi «fortissimo punto di riferimento dei progressisti», è quasi un ircocervo ormai.

Con Letta va diversamente e si sapeva. Partono i mugugni, le parole forti, gli danno del «guerrafondaio». Allora lui, mal consigliato, decide di tagliare per il marciapiede di via Merulana accelerando verso piazza San Giovanni. Lo vedono. Fotografi, telecamere e grillini lo inseguono. Fischi.

Ululati. Un surreale corteo nel corteo. Lui accelera, mette la mascherina forse per rendersi meno riconoscibile. Poiché è un uomo cortese, col fiatone dice che non c’è «nessun disagio, sto benissimo». Dalla strada gli urlano «vattene», «cambia rotta». Lui: «Dove c’è la pace c’è il Pd». È una scena triste che si conclude solo davanti alle transenne della piazza che fu di Togliatti e di Berlinguer e adesso vede il segretario dem sgattaiolare al riparo mentre un ragazzo con una bandiera della Cgil in spalla gli grida «fascista».

Regna confusione nelle parole e nei pensieri, il sabato romano è una macedonia di buone intenzioni, speranze ingenue e falsità. Angelo Moretti del Mean coglie il punto onestamente: «Siamo tanti perché la manifestazione è ambigua, non si sono sciolti i nodi». Non a caso il primo striscione del corteo è per Assange, martire o demonio, punti di vista. Ci sono i ragazzini delle scuole (pochi in verità) che cantano le canzoni dei nonni (molto gettonata «Comunisti della Capitale»): convinti che l’unico modo per uscirne sia disarmare Zelensky, ignorando la storia di Monaco 1938. È l’umore prevalente, checché ne pensi ciò che resta del Pd lettiano.

Giorgio Cremaschi, sindacalista d’antan, ci va duro: «Se vedo Enrico gli dico: fai pace con te stesso, non puoi chiedere il cessate il fuoco e mandare le armi a Kiev». Mentre partono cori d’altri tempi («Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia») si capisce che la prossima spedizione di materiale bellico non sarà un pranzo di gala. Nel backstage soloni del pacifismo peloso invocano la tregua «adesso che c’è lo stallo tra russi e ucraini» omettendo che senza le nostre armi a Zelensky non ci sarebbe adesso e non ci sarà poi nessuno stallo ma solo sottomissione.

Tra brani di De Gregori, eskimo e kefiah sparsi, camminare accanto a Mimmo De Masi, amabile sociologo ultraottantenne, è come marciare con il Che. Lo venerano. A San Giovanni, si stringono la mano Conte e Landini. Il segretario Cgil vuole «disarmare la guerra», il nuovo padrone della piazza gli dice «non molliamo». Letta è già via. Gli chiedono: non parli? Lui sorride solo increspando le labbra, scuote la testa. Di colpo s’ è alzata tramontana.

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