“Non può fare così” Giorgia Meloni, dopo soli 2 giorni è già scoppiato il caso: Marcello Vemeziani mette in guardia il neo Presidente. Adesso ti blandiscono, ma occhio che ti possono fare fuori

Governo Meloni, primi malumori nella destra. Il nuovo esecutivo si è appena formato e già, secondo quanto leggiamo sulla carta stampa nostrana, ci sarebbe chi storce il naso. Soprattutto negli ambienti della destra che è, o dovrebbe essere, l’area di riferimento del nuovo governo. I motivi? Beh, tanto per cominciare le scelte in continuità con il governo Draghi su energia e Covid di Roberto Cingolani, ieri ministro oggi advisor dell’esecutivo, e Orazio Schillaci.

Al governo guidato da Giorgia Meloni viene inoltre imputata la “ritrovata armonia con l’Europa di Ursula von Der Leyen ed Emmanuel Macron”, come sottolinea Repubblica. La Verità, quotidiano di riferimento del centro-destra, critica l’incarico dato all’ex ministro della Transizione Ecologica, oggi consulente del titolare all’Ambiente Pichetto Fratin, anche se a titolo gratuito: “Dicono che quello di Giorgia Meloni sia un esecutivo identitario. Ma al suo esordio, attraversa già una crisi di identità, al bivio tra permanenza e rottura”.

di Marcello Veneziani per La Verità

Habemus Pupam, heri dicebamus, dicevamo ieri. Cum governo sovranista et identitario. Dicono che l’unica vera, grande novità di questo governo sia Giorgia Meloni, per la prima volta una donna e un premier di destra. Se è per questo, la vera grande novità del governo precedente fu Mario Draghi. Non dirò nulla del governo nascente perché i giudizi preventivi si chiamano pregiudizi; ci sono nomi validi, altri invalidi, alcune incognite, qualche sconosciuto, inutile azzardare giudizi a priori. E poi abbiamo l’esperienza dell’altro governo che fu subito battezzato dei migliori ma molti ministri si sono rivelati o confermati modesti e inadeguati. Ricordate gli Esteri, gli Interni, la Salute? Insomma, piano con gli elogi e con gli attacchi prevenuti.

La vera novità del governo Meloni è per ora lessicale e si riassume in un quadrifarmaco verbale: Merito, Natalità, Made in Italy, Sovranità alimentare. Ecco le quattro parole identitarie del governo nascente. E ai fianchi due parole-chiave complementari per guarnire altri ministeri: il mare per il sud, le autonomie per il nord. Certo, le parole non bastano, sono intenzioni, non risultati. Ci piacerebbe che la sovranità non riguardasse solo l’alimentazione ma la politica e l’economia; e che il merito non riguardasse solo la scuola ma la società e la politica.

A proposito di sovranità alimentare, a sinistra hanno deriso l’espressione usata per designare il ministero per l’agricoltura. Ma come spiega un esperto come Carlin Petrini, patron dello slow food, la sovranità alimentare non è un’invenzione a vanvera della “sottoscritta” Giorgia Meloni; ha una storia e perfino un’origine sinistrorsa. Ma non solo: ho sentito usare l’espressione sovranità alimentare al congresso della Coldiretti a Milano, la principale realtà agricola del nostro paese per numero d’iscritti e radicamento nel territorio. Sovranità alimentare vuol dire protezione dei prodotti nostrani, tutela della filiera alimentare, attenzione verso il chilometro zero, ripensamento dell’import-export, incentivo alla nostra agricoltura. Tutto giusto, sacrosanto. E così la difesa del made in Italy che a me piace ribattezzare Madre in Italy che evoca molte cose, a partire dalla madrepatria e dalla madrelingua. La natalità è poi una parola necessaria in un paese povero di nascite e proteso solo a difendere l’aborto; una parola coraggiosa, ancora più forte perché coniugata alla difesa della famiglia. Non è un salto indietro, come scrivono i progressisti dogmatici coi paraocchi: perché se c’è un tema che investe il nostro presente senza figli e più ancora il nostro futuro, è la natalità.

Il nuovo frasario ministeriale deve ora passare dalle parole ai fatti ed evitare che le parole sostituiscano i fatti; o che le parole diano una patina di sovranismo identitario per poi fare politiche subalterne ai poteri sovrastanti. Buono il titolo, ora attendiamo lo svolgimento.

Intanto cosa avviene nei Palazzi del Potere, come rispondono al nascente governo? Con un auspicio corale: vogliamo Meloni ogm. Al di là del lessico identitario per rassicurare il popolo, il Potere si aspetta una Meloni geneticamente modificata; o se preferite decrittare in modo più pertinente l’acronimo ogm, un’Opposizione Governativamente Modificata.

Il messaggio dell’Establishment è preciso: finora avete apprezzato la coerenza di Giorgia, ora è il momento di apprezzare la sua mutazione, anzi di pilotarla. Com’era prevedibile, e come abilmente e risolutamente ha fatto la Meloni, il suo deciso allinearsi alla Nato, al Patto Atlantico, all’Unione europea, a Draghi e alla linea filo-Ucraina le ha permesso il rilascio della patente internazionale per governare. Ha superato pure l’esame storico, anzi etico, ripudiando senza mezzi termini il fascismo. E si è affrettata a formare un governo anche per non debuttare proprio il 28 ottobre, centenario della Marcia su Roma.

Le critiche al governo neonato sono già fioccate copiose, ma quasi tutti hanno trattato con benevola indulgenza la Meloni. Ora siamo alla luna di miele, non coltiviamo illusioni. Noi avevamo avvertito che la Meloni sarebbe stata accerchiata, prima per farle pressione intimidatoria, poi per studiarla meglio, quindi per stringersi ammirati intorno a lei e farle gli auguri; poi per criticare i suoi primi passi e gli anelli deboli della sua compagine. Non mancherà il tempo in cui l’accerchiamento, alla prima occasione, muterà in linciaggio.

Ma il perno dei messaggi inviati si riassume in quella parola chiave: adesso aspettiamo che si compia la mutazione della Meloni in senso draghiano. L’elogio della trasformazione da un verso è un avvertimento per la Meloni: guai se torni quella di prima o come ti vogliono i tuoi elettori. Ma dall’altro è un’auto-giustificazione: dicendo che la Meloni sta mutando si giustifica il loro mutato atteggiamento nei suoi confronti. E’ lei che si trasforma, non siamo noi i trasformisti. Naturalmente è da mettere in conto pure l’atavico servilismo nostrano verso i potenti di turno, fino a che sono saldamente al potere.

Questo è il primo governo di destra nella storia della repubblica italiana. Qualcuno dirà che a quelle condizioni e con quelle mutazioni, meglio non averlo. Ha le sue ragioni, degne di rispetto. Altri diranno che è meglio avere una destra al governo, pur compatibile col sistema e allineata ai suoi comandi, piuttosto che restare per sempre in una marginale opposizione. Rispetto pure il realismo di questi ultimi. Ma la destra può andare al governo solo a quelle condizioni: prendere o lasciare. La Meloni tenta un’esperimento. Vedremo in corso d’opera. La osserveremo da fuori, in libertà, con passione di verità.

P.S. Piccolo retroscena. Gianfranco Fini era l’altra sera a Roma in un negozio di articoli per il mare che comprava una barchetta in miniatura e la inviava alla Meloni con un messaggio di auguri per la navigazione, offrendo il suo sostegno. Si rivedono con la risacca i relitti spiaggiati d’imbarcazioni naufragate.

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