Francesca Mannocchi perĀ “la Stampa”
Nel faccia a faccia tra Erdogan e Putin ad Astana di due giorni fa, durante la Conferenza sulle misure di cooperazione e rafforzamento della fiducia in Asia, non si è parlato di negoziati di pace. Almeno non ufficialmente. La notizia vera che arriva dal Khazakhstan riguarda il gas non il cessate il fuoco, perché se è vero che non sempre è tempo di pace è altrettanto vero che è sempre tempo per gli affari.
GiovedƬ la Russia ha proposto ad Ankara di diventare un grande hub energetico, l’obiettivo di Putin sarebbe quello di dirottare il gas diretto in Europa attraverso le infrastrutture turche. Ā«Se la Turchia e i nostri possibili acquirenti in altri paesi sono interessati, potremmo prendere in considerazione la costruzione di un altro sistema di gasdotti e la creazione di un hub del gas in Turchia per la vendita a paesi terzi, in particolare, naturalmente, a quelli europei se sono interessatiĀ» queste le parole di Putin, a cui hanno fatto eco quelle sibilline di Erdogan, Ā«se qualcuno si sentirĆ disturbato, non lo saranno i paesi in via di sviluppo che saranno, invece, feliciĀ». Dichiarazioni che suonano come avvertimenti dei due leader, che per l’ennesima volta dimostrano di essere molto più alleati che antagonisti.
Erdogan da mesi sta usando tutte le armi che ha per presentarsi al mondo come il grande arbitro dell’aggressione russa in Ucraina e protagonista di quello che considera un nuovo ordine mondiale in divenire. Ha cercato di mediare tra Mosca e Kiev e la scorsa estate ha ottenuto una svolta quando, insieme alle Nazioni Unite, ĆØ stato protagonista di un accordo per la ripresa delle esportazioni commerciali di grano ucraino dai porti del Mar Nero che la Russia aveva bloccato. Ć difficile immagine che i due non abbiano discusso della road map per un cessate il fuoco in Ucraina, ĆØ più facile immaginare che ora non siano maturi i tempi delle dichiarazioni ufficiali ma che sia invece il momento delle trattative silenziose.
Bisogna però capire quali sono le basi su cui i due stiano dialogando, e chi pagherĆ il prezzo più alto. Cosa cioĆØ ci sia davvero sul piatto, cosa rischia l’Ucraina e cosa rischia l’Europa lasciando a Erdogan la centralitĆ che passo dopo passo sta conquistando.
Putin sta perdendo terreno da settimane. Il colpo più duro ĆØ arrivato all’inizio di settembre, quando la controffensiva lanciata dall’esercito ucraino a Nord e a Est del paese ha liberato una vasta porzione di territori occupati, costringendo le truppe del Cremlino alla ritirata, e continua in queste ore a Sud, nella regione occupata di Kherson, mentre arriva la conferma che il Consiglio Ue di domani varerĆ il sesto pacchetto da 500 milioni di sostegno nell’ambito dello European Peace Facility, che porterĆ l’assistenza militare all’Ucraina a un totale di 3,1 miliardi di euro. I numeri non sono bastati, non basterĆ la mobilitazione parziale, non basta la superioritĆ numerica a vincere la guerra convenzionale.
Perciò, di fronte alla sconfitta sul campo, Putin non sostituisce i giocatori, cambia il tavolo da gioco, che diventa politico e militarizza tutto ciò che può indebolire gli alleati di Kyiv: le risorse energetiche, i rifugiati e – naturalmente – reitera la minaccia dell’utilizzo delle armi tattiche nucleari.
La guerra lanciata dalla Russia in Ucraina ha rafforzato i legami tra i due autocrati, e ha rafforzato gli scambi commerciali tra Russia e Turchia che andavano giĆ benissimo.
Come riporta l’Economis, Ā«quest’ anno gli scambi commerciali tra i due paesi hanno giĆ superato i 50 miliardi di dollari, un nuovo record dopo i 34,7 miliardi del 2021. La Russia ha inoltre rinvigorito il sistema bancario turco. Durante l’estate l’azienda russa Rosatom ha versato circa cinque miliardi di dollari alla Turchia per finanziarie la costruzione di una centrale atomica sulla costa del MediterraneoĀ».
Avere ottimi rapporti con la Turchia, cioĆØ con un membro della Nato, ĆØ fondamentale per la Russia colpita dalle sanzioni, sanzioni da cui, vale la pena ricordarlo, Ankara si ĆØ astenuta. Per questo ad Astana Putin ha elogiato l’affidabilitĆ di Erdogan, lo ha descritto come un solido alleato, ma parlando del nemico-amico parlava all’Europa. Voleva che fosse chiaro che se i gasdotti tedeschi venissero sostituiti da quelli turchi, che se gli europei – che oggi sostengono con forza di volersi emancipare dalle forniture russe – dovessero ripensarci, pagherebbero Erdogan, rafforzandone l’influenza sul Vecchio continente, rafforzandone la capacitĆ ricattatoria che andrebbe ad aggiungersi a quella che il presidente turco giĆ ha dal 2015, da quando cioĆØ l’Europa paga la Turchia per controllare il flusso migratorio verso la rotta balcanica.
Da allora gli stati membri sono esposti ai capricci del Sultano. Ogni volta che Erdogan ha avuto bisogno di fare la voce grossa con l’Europa ha minacciato di aprire i confini ai milioni ai rifugiati siriani, come ha giĆ fatto nel 2019 quando la Turchia dichiarò che non avrebbe più impedito ai migranti di arrivare in Europa e decine di migliaia di persone tentarono di entrare in Grecia, attraverso il confine terrestre in prossimitĆ del fiume Evros.
Russia e Turchia si trovino su fronti opposti in conflitti regionali come la Siria, la Libia, il Caucaso meridionale e l’Ucraina, ma condividono interessi comuni, il primo ĆØ consolidare una posizione ai vertici dei processi decisionali internazionali, ottenuta come hanno sempre fatto, alimentando le crisi dei vicini e usandole a proprio vantaggio.
L’incontro kazako ha dunque chiarito dei punti. Primo: i negoziati non sono sul tavolo. Non ĆØ tempo di pace per nessuno. Ć tempo invece di sfruttare l’inverno, che – come ricorda il sito indipendente russo Meduza – può voler dire che il Putin azzoppato dalla controffensiva ucraina giochi al dialogo per prendere tempo e riorganizzare l’offensiva della prossima primavera. Secondo: far incassare a Erdogan lo status di distributore del gas significa mirare a indebolire e dividere gli stati europei.
Tanto più si avvicina l’inverno, tanto più aumentano i prezzi, sale l’inflazione, crescono i malumori, quanto più sarĆ facile che il fronte europeo si spacchi, che ci siano paesi che sceglieranno di tornare all’ovile del fornitore russo, che cominceranno a chiedersi con sempre minore timidezza se in fondo il sostegno a Kyiv valga la candela.
Se Putin riuscisse in questa arditissima impresa, per l’Europa sarebbe scacco matto. E lo sarebbe anche per l’Ucraina che rischia di trovarsi incastrata in uno scenario siriano, con i due che, escludendo l’Europa, cementano le rispettive posizioni, decidendo il destino di Kyiv e divindendosi il bottino degli affari. Attenti quindi ai falsi segnali, quando si parla di pace. PerchĆ© la pace che appare sempre più lontana.