Elly Schlein è la nuova Emma Bonino: il più perfetto prodotto da laboratorio liberal-radical-progressista e euro-atlantico: gauche al ragù e sociostile bourgeois-bohème

Luigi Mascheroni per “il Giornale”

Elly Schlein è la risposta a una domanda che nessuno ha fatto. E per di più è sbagliata.

E nemmeno l’argomento in realtà interessa molto. Tema: come sarà la nuova sinistra?

Di sinistra ma non piddina (pro memoria: chiarire se è iscritta o no al Partito democratico), ultra gender oriented, così femminista da essere trans-femminista, così ambientalista da essere ecosocialista, e talmente a vocazione internazionale da percepire Bologna un città che si attraversa a piedi come una metropoli cosmopolita, Elly Schlein è il più perfetto prodotto da laboratorio liberal-radical-progressista e euro-atlantico: gauche al ragù e sociostile bourgeois-bohème.

È cittadina americana, svizzera e italiana, figlia di luminari, un passaggio dal Dams così, per sfizio – volontaria nelle due campagne elettorali di Barak Obama, bisessuale, amazzone delle battaglie Lgbtq, una giovinezza trascorsa nella confort zone fra la Ztl e il ddlZan, famiglia dell’establishment ed ebrea aschenazita ma rigorosamente anti Israele – outfit da centro sociale senza mai averci messo piede, e frequentazioni che non si possono definire di ambito proletario. Perfetta per candidarsi a prossimo segretario del Partito democratico.

Elly Schlein è il nuovo volto di quella sinistra di lobby e di potere che ha trasformato la battaglia delle idee in pura ideologia e ha scambiato i diritti sociali con quelli civili, inseguendo i secondi e dimenticandosi i primi.

E comunque, chi ha detto che sembra uscita da un film di Guadagnino è un genio.

Elly Schlein, super star della New left alle tagliatelle, è una di quelle persone di cui non condivi le opinioni, ma i privilegi sì.

Privilegiata, mojito e arcobaleno, cannabis light e eutanasia, slogan e retorica («Possiamo unire le lotte per la giustizia sociale e ambientale, nel segno dell’intersezionalità, attorno a una visione condivisa: ecologista, progressista e femminista insieme», «Giusto! Sono d’accordo con il compagno busone»), la Schlein è l’upgrade bolognese di Alexandria Ocasio-Cortez, nuove chierichette del pensiero egemone che piacciono a tutti coloro per i quali i partiti democratici non sono mai abbastanza di sinistra. Forza Elly, che portiamo il Pd al 4%!

Elly ti presento Schlein.

Ma chi è Elena Elly Ethel Schlein? La risposta più stupida ma non del tutto sbagliata sarebbe: la Serracchiani più le Sardine.

In realtà, la storia anzi un’epopea è più complessa. Comincia in Ucraina e finisce a Bologna, passando per New York, la Resistenza e la Svizzera: persino l’Europa non è abbastanza. Vorremmo essere lei. E ha solo 37 anni…

Elly Schlein nasce a Lugano nel 1985. Il padre è americano, discendente da ebrei originari di Leopoli poi emigrati negli Stati Uniti, professore di Scienze politiche alla Franklin University Switzerland di Lugano. La madre, già preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi dell’Insubria, è nipote di Agostino Viviani, celebre antifascista, senese, senatore del Partito Socialista Italiano. Solo il pedigree vale un 15%. Wow! (anche se lei preferisce dire «Woke»).

Epifanie. All’età di cinque anni Elly suona il pianoforte. Adora anche la chitarra elettrica. Giovanissima è appassionata di cinema, poi aspirante regista e lavora per Cinecittà Luce. Si diploma a Lugano e poi si laurea in Giurisprudenza a Bologna (con due tesi: sui migranti in carcere e sui diritti dello straniero, già allora per fare dispetto a Salvini). Poi è una delle Lemnie dem che lanciano la campagna di mobilitazione #OccupyPd. Aderisce alla linea civatiana (come ha detto qualcuno la Schlein sarebbe tipo Pippo Civati, ma senza l’irresistibile femminilità di Pippo Civati). Nel 2014 è eletta parlamentare europea nel Pd – da cui si dimette perché non sopporta, ricambiata, Matteo Renzi) e nel 2020 diventa vicegovernatore dell’Emilia-Romagna con un numero impressionante di voti. «Yes, we can». Che se sei un nerd si dice «Ma sì, ci sta».

Elly, non si può negare, è bravissima. Ma ancora più brava è l’agenzia di comunicazione politica americana che l’ha presa sotto la sua ala: la Social Changes, famosa per aver curato le campagne digitali di molti candidati dem negli Stati Uniti, a partire da Barak Obama, e che è sbarcata da tempo in Italia con l’obiettivo di «costruire una sinistra transnazionale in grado di battere la destra».

E così i new liberal credo obamiano e Open Society Foundations – si prenderanno il Pd italiano. Per trasformarlo in un partito radicale di massa: diritti individualistici più turbocapitalismo occidentale. Perché se il gay pride è sponsorizzato da Amazon e Netflix qualcosa vorrà pur dire.

«Società aperta», immigrazionismo, cancel culture, posizione sulla Russia molto tiepida e sessualità fluida. Il meraviglioso mondo di Elly.

Non si è ancora capito se Elly Schlein sia l’anti Meloni o la nostra aspirante Sanna Marin. Il Guardian la vede come la rifondatrice della sinistra, come ai tempi di Jeremy Corbyn (e non andò benissimo). Per Renzi invece se lei diventasse segretaria del Pd mezzo partito si iscriverebbe a Italia viva. «E sono stato prudente». Imprudente, furba, incisiva, ricca, determinata (come dice chi la conosce bene «è una per la quale l’amicizia conta fino a un certo punto: lei è proiettata sul potere»), esibita sensibilità ambientalista, parlantina spinta (con un pizzico di fuffa), autostima fortissima e ars oratoria deboluccia gli slogan sono un po’ da studentessa appena tornata da una manifestazione di Lotta continua anni ’70 e svolgimenti da temino di liceo (i grandi problemi dell’umanità, la disuguaglianza, l’inquinamento, il superamento del patriarcato, la fame nel mondo, i monopattini, «Chi non canta Bella ciao è incivile»), Elly Schlein è solo un po’ meno idealista di Alessia Piperno, più ideologica di Fratoianni, meno cinica della Cirinnà, empatica come Carola Rackete e amabile quanto Fiano.

Dimmi chi sono i tuoi amici e ti dirò chi sei. Personaggi che sostengono la causa Schlein: Fabrizio Barca, Alessandro Zan, Gassmann, Sandro Veronesi, il regista Gabriele Muccino, la Boldrini, la Murgia, l’amichettista Concita De Gregorio «Elly è la soluzione perfetta!» Daria Bignardi, la Michielin, Rula Jebreal e la Ferragni.

Gnè, gnè, gnè.

Comunque, la copertina fluid che le dedicò l’Espresso… beh, diciamo che non è stata tra le più riuscite del settimanale.

Cose belle per Elly: i talk show, la decrescita felice, i videogiochi (Monkey Island), il cinema di Guadagnino (stiamo scherzando, dài), la sinistra bancaria, la frase «Ci siamo ricongiunti con il fuori» («Ma che cazzo vuol dire?», «Boh»), gli asterischi, la scevà, le donne (ma anche gli uomini).

Cose non così belle per Elly: le larghe intese, Matteo Renzi, il Jobs act, i franchi tiratori che impallinarono Prodi, e forse anche Prodi, il ticket con Bonaccini, Bonaccini, la Tav, i binari (è una battuta…), il nucleare, i parrucchieri, gli uomini (ma anche le donne).

Domanda: ma era davvero così importante parlare della propria bisessualità?

«Sono un donna, sono una lesbica, non sono una madre». Ma chi se ne frega? E comunque bisogna andare oltre il genere. Dobbiamo essere inclusivi! Via quei pronomi maschili e femminili. Egli, ella, esso, essa, Elly…

Per il resto, ci sono persone che una volta famose diventano insopportabili. E persone che sono già insopportabili prima ancora di diventare famose.

E non è questione di maschile o femminile.

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