di Gabriele Angelini per Il Paragone
Cambiano i governi, cambiano i premier, cambiano le correnti, ma per l’Italia non cambia nulla. Con la sua sovranità svenduta, i mercati finanziari e i potenti del mondo e dell’Ue guardano alle elezioni nel nostro Paese come un gioco. Renzi, Conte, Draghi, Meloni… Per loro non cambia nulla. Sono solo pedine da tenere sotto scacco. E così sarà anche per la leader di Fratelli d’Italia, che si è infatti subito premurata di tranquillizzare l’alta finanza, di coccolare l’Europa e la Nato, di “tranquillizzare” chi davvero conta. Come a dire: nessun problema, ora ci penso io a fare i compitini che ci assegnate, non avrò colpi di testa. Ed è da leggersi in questa ottica anche l’intervista rilasciata da Jean-Claude Juncker a Marco Bresolin per La Stampa. Parole che arrivano a caldo dopo le elezioni e che suonano come un monito più che come un augurio. Tanto che esordisce con: “L’Italia è troppo grande per essere salvata come abbiamo fatto per la Grecia”. A buon intenditor poche parole.
Per questo – scandisce Juncker – deve “portare a termine le riforme concordate con Bruxelles” e “continuare le politiche di consolidamento del bilancio”, altrimenti “sarà difficile organizzare la solidarietà degli altri Stati”. Dov’è dunque il margine di manovra? Non c’è, ma anche al nuovo governo va bene così, tutto pronto a ubbidire ai dettami di Bruxelles. “Con Draghi – continua Juncker – l’Italia ha guadagnato in credibilità. E non bisogna sprecare questa eredità. Il risultato era previsto, ma resto comunque preoccupato perché non riesco ancora a pesare, in termini di conseguenze politiche, l’entità del cambiamento che si produrrà. Ancora non si conoscono i dettagli del programma di governo e dunque non sappiamo in quale direzione andrà. Ho visto che Meloni ha fatto una sorta di mea culpa europeo, rinunciando alle sue rivendicazioni di uscire dall’Ue o dall’Euro. Questo ovviamente mi ha un po’ rassicurato”.
Dice ancora l’ex presidente della Commissione Ue Juncker a La Stampa: “Spero che Fratelli d’Italia sia per l’Europa a Bruxelles e nazionalista in Italia. È una cosa classica dei partiti d’estrema destra: dire sì all’Europa a Bruxelles e poi dire no a Bruxelles quando si torna a casa. Durante il periodo del governo Conte, e per certi aspetti anche durante il governo Renzi, ho sempre cercato di vigilare per fare in modo che l’Italia fosse trattata con il rispetto che merita. Con il governo Conte, soprattutto a causa della cattiva influenza esercitata da Salvini, era diventato effettivamente sempre più difficile. Ma dovevamo mantenere la calma, stando ben attenti a non gettare benzina sul fuoco appiccato da Salvini. Ho lavorato molto con Conte, avevo scoperto nel suo pensiero molti riflessi pro-europei. Per questo gli avevo consigliato di dirigere la nave in modo fermo verso Bruxelles”.
Poi la conclusione che è un “capolavoro” di pressione del tacco del potere estero e della finanza sull’Italia: “Bisogna sapere che l’Europa non può, tra virgolette, salvare l’Italia come è stato fatto per la Grecia. L’Italia è un mezzo pesante e non si può sovraccaricare la barca della solidarietà europea. Se l’Italia applica delle misure di consolidamento del bilancio, l’Ue è lì per accompagnarla. Se invece l’Italia dovesse rifiutarsi, sarebbe difficile organizzare la solidarietà da parte degli altri Paesi dell’Eurozona. L’Italia beneficia enormemente del Recovery Fund, ma bisogna fare in modo che tutte le riforme concordate siano portate a termine”. Meloni è avvisata. Juncker ha parlato.
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