BOLOGNA – Hanno dovuto ammainare le bandiere del Pd. Grattare via i simboli dalle insegne e dalle urne per le offerte all’ingresso del glorioso Parco Nord della festa dell’Unità più grande d’Italia. Appendere ovunque, al loro posto, i vessilli arcobaleno della pace, nonostante l’Italia sia impegnata sul fronte atlantista nella guerra russo ucraina. E quelle dell’Europa, balardo di valori da difendere. Enrico Letta parte per i suoi trenta giorni di battaglia elettorale dalla festa più grande d’Italia, quella di Bologna. La festona da tremila volontari che Fratelli d’Italia ha cercato di silenziare con un esposto sulla par condicio: non si può fare campagna al Parco Nord di Bologna, che è uno spazio pubblico non inserito tra quelli idonei a fare campagna. Il prefetto ha annuito: occhio, niente propaganda.

Una tegola sulla testa dei volontari e della base, ieri pomeriggio a metà tra tristezza e voglia di ribellarsi, a poche ore dall’inaugurazione con Letta. Il segretario che arriva, canta Bella Ciao all’osteria partigiana dell’Anpi e parla nell’unico giorno libero dalla par condicio, tagliola che scatta oggi, con la sordina sulla campagna. Eppure bisogna crederci. E Bologna fa di tutto per farlo. Per indicare la via compare a sorpresa in festa anche Romano Prodi, appena rientrato dalle ferie per dare un calcio alle profezie dei sondaggisti. “Le campagne elettorali si fanno per ribaltare i sondaggi. Io ne ho una bella esperienza, quindi speriamo bene”, detta.

Letta riprende il parallelo: “Qui è nato l’Ulivo, che ha battuto per due volte Berlusconi. Preparatevi, festeggieremo la terza”. Il segretario plaude al ricongiungimento con la sinistra di Roberto Speranza e affonda sugli avversari, paventando “condoni per gli evasori” e agitando timori: “Da fuori ci guardano e si ricordano l’ultimo periodo in questa stessa destra andò al governo e fu costretta alle dimissioni. C’era Berlusconi, che oggi vuole fare il presidente del Senato, Tremonti e e anche Giorgia Meloni, che era ministro nel giverno che portò il Paese quasi alla bancarotta”. Poi insiste sull’obbligo scolastico dai 3 ai 18 anni: “Ho proposto più istruzione e hanno protestato, ma che Paese è questo?”. “O noi o loro, chiediamo agli italiani di scegliere da che parte stare”.

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Prodi approva: “Che dico? Dico bene. Un discorso consapevole die problemi e degli strumenti per vincere. Mi auguro che tutti capiscano”. A sera si sollevano un po’ anche tra i volontari, combattuti tra rassegnazione e voglia di combattere. “Lo sa che cosa avrei fatto io per rispondere alla par condicio? – dice Mauro Rossi affondando la spugna nell’acqua saponata per lavar via l’adesivo del simbolo dem – Avrei chiamato a Bologna 40mila volontari da tutta Italia e avrei dipinto di rosso la festa”.

Voglia di ribellarsi. All’osteria toscana i gestori avevano appeso un cartello: “Vota comunista contro il potere democristiano”. Poi l’hanno tolto, “perché qui a Bologna hanno candidato Casini”. E allora loro hanno appeso i vecchi manifesti Pci e la foto di Berlinguer. Senza la coperta del simbolo dem, nella festa Pd affiorano tutte le correnti. Non quelle di oggi ma quelle di ieri. C’è chi voleva le tovaglie rosse nei ristoranti. E chi si rammarica: “Molti segretari negli ultimi anni sono Dc”.

Qualcuno sogna Stefano Bonaccini, “cosí concreto”, ma l’argomento congresso resta tabù. Lo stesso Letta a sera va a Modena, per inaugurare la festa insieme al governatore emiliano. A Bologna resta l’unica notte elettorale libera dalla par condico. E resta un po’ di paura: “Sarà la nostra ultima festa perché poi vince la Mussolini e non ce la faranno più fare”, dice Paolo Lazzarini, allo storico ristorante Alba. “Dispiace per le bandiere e il simbolo. Si arriva qui e non si capisce bene che festa è…”, dice anche Franca, ai Castelli. Ma Gilberto Gigli, militante storico citato anche dal palco, fa cenno con la mano di lasciar andare: “Le bandiere? Niente paura, le abbiamo nel cuore”.