La maledizione di Putin si abbatte su tutti i leader anti Cremlino! Dopo le dimissioni di Boris Johnson, soffiano venti di crisi anche per tutti gli altri dilettanti allo sbaraglio

di Carlantonio Solimene per Il Tempo

Era il 26 marzo scorso quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in un comizio a Varsavia, si fece sfuggire che l’Occidente non doveva limitarsi ad aiutare l’Ucraina a difendersi dall’invasione russa, ma puntare direttamente a un Ā«regime changeĀ» a Mosca.

La resistenza, insomma, come chiave per archiviare Vladimir Putin. A distanza di 104 giorni da quella che poi fu ridimensionata a Ā«gaffeĀ», l’uscita di Biden rischia di trasformarsi nel piĆ¹ classico degli autogol. PerchĆ© lo zar del Cremlino ĆØ ancora saldamente al suo posto mentre le tessere del puzzle occidentale che gli si contrappone no a cadere. Il passo d’addio di Boris Johnson, il leader europeo che piĆ¹ di tutti si ĆØ erto a difesa di Kiev, ĆØ in qualche modo la summa di tutti i pregi e difetti delle dimocrazie.

Aperte, inclusive, tolleranti nei confronti del dissenso. Ma al tempo stesso macchinose, instabili, volitive. Persino in un Paese, la Gran Bretagna, normalmente abituata alla stabilitĆ  dei governi. Certo, la parabola di BoJo ha poco a che fare con il conflitto in Ucraina. ƈ figlia, piuttosto, dell’imperizia di un leader che si credeva intoccabile nonostante gli scandali e le gaffe che infilava di continuo. E che, in una sorta di contrappasso dantesco, ĆØ stato azzoppato dallo stesso partito che aveva scalato senza farsi scrupoli, tramando e pugnalando quando ce n’era bisogno.

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IL PESO ECONOMICO DEL CONFLITTO
La guerra, tuttavia, ha molto a che fare con le difficoltĆ  dei colleghi di Johnson che, in queste ore, si trovano in difficoltĆ  piĆ¹ o meno simili. Un tempo si riteneva che le emergenze cementassero il popolo intorno ai propri governi. Lo scontro tra Mosca e Kiev, invece, sta causando l’effetto contrario. Probabilmente perchĆ©, col passare dei mesi, l’empatia nei confronti degli ucraini sta evaporando soppiantata dalle preoccupazioni per i cascami economici del conflitto. Che pure sono ancora lontani dal dispiegarsi completamente. Dei venti di crisi che soffiano sul governo di Mario Draghi si legge ogni giorno sui quotidiacominciani.

Ma il premier italiano ĆØ in buona compagnia. A passarsela peggio, probabilmente, ĆØ proprio Joe Biden. Ieri l’indice di gradimento elaborato dal portale FiveThirtyEight dello statistico Nate Silver faceva segnare un dato impressionante: il presidente Usa ha toccato un nuovo record negativo di gradimento. Il suo operato ĆØ apprezzato solo dal 38,6% degli americani. Per trovare un dato peggiore dopo 534 giorni di amministrazione bisogna tornare indietro addirittura al 1946, con Harry Truman al 33%. Biden sperava, con il protagonismo sulla crisi ucraina, di rimediare al pasticcio in Afghanistan. Finora, tuttavia, l’obiettivo ĆØ stato malamente mancato. Le elezioni di Midterm a novembre sono vissute come un incubo dai democratici, ormai sicuri di perdere il controllo di entrambi i rami del Parlamento. Mentre il Paese si interroga sul reale stato di salute del presidente e nel suo partito si studia un sistema per convincerlo a un’onorevole uscita di scena nel 2024, evitandogli una ricandidatura che rischierebbe di tramutarsi in un fragoroso flop.

LE ELEZIONI IN EUROPA? LE VINCE VLADIMIR
Ha giĆ  affrontato le elezioni Emmanuel Macron. E, al netto di una conferma presidenziale da non sottovalutare (nessuno ci riusciva dai tempi di Chirac), le legislative hanno consegnato all’inquilino dell’Eliseo un Parlamento senza piĆ¹ maggioranza. Al contrario, a essere premiate sono state le ali estreme, MĆ©lenchon e Le Pen. Ovvero i leader che piĆ¹ di tutti hanno focalizzato l’attenzione sul prezzo che la popolazione sta pagando a causa dei rincari energetici e dello stop dei rapporti commerciali con Mosca. Macron non sarĆ  disarcionato – il sistema francese tutela i poteri del presidente anche in assenza di numeri-mail suo secondo mandato sarĆ  segnato inevitabilmente da una maggiore attenzioneverso le questioni interne. Con ovvia soddisfazione del Cremlino. Che, dal canto suo, ieri ĆØ stato il primo a commentare, con giubilo, la caduta di Johnson. ƈ una sorta di maledizione, quella di Putin. Da quando ĆØ scoppiatala guerra, seppur indirettamente, ha vinto tutte le elezioni disputate in Europa. Come in Ungheria e Serbia, dove al potere sono rimasti i suoi sodali Viktor OrbĆ”n e Aleksandr Vucic. Il primo ha messo ibastoni tra le ruote alla Ue ogni volta che c’era da approvare un pacchetto di sanzioni contro Mosca. Il secondo ha mantenuto i collegamenti aerei giornalieri da Belgrado alla Russia mentre tutti gli altri Paesi europei chiudevano gli spazi dei cieli al Cremlino. C’ĆØ, infine, il caso Germania. Dove l’invasione russa non solo ha gettato nuova luce sui lunghi anni di cancellierato di Angela Merkel, accusata di non aver previsto l’espansionismo di Mosca, ma ha anche tarpato le ali al nuovo governo di Olaf Scholz. PiĆ¹ che le indecisioni del Cancelliere nelle prime fasi del conflitto, a pesare ĆØ stata l’economia. La Germania dipende dal gas russo come e piĆ¹ dell’Italia. Putin lo sa e si diverte a interrompere a piĆ¹ ripresele forniture adducendo ragioni di manutenzione. Il malcontento cresce e a maggio, nelle elezioni in Nordreno-Westfalia (il Lander tedesco piĆ¹ popoloso), i socialisti di Scholz hanno subƬto la peggiore sconfitta della storia. Non solo: l’archiviazione del progetto Nord Stream 2ha deluso non poco il povero e disabitato Lander del Meclemburgo-Pomerania anteriore, che dalla messa in opera del gasdotto sperava di trarre quella spinta alla crescita sempre mancata. Esempio perfetto di come la frase di Draghi – Ā«pace o condizionatoriĀ» – fosse un’improvvida semplificazione di uno scenario terribilmente piĆ¹ complicato.

LEADER PIƙ DEBOLI E UE IMMOBILIZZATA
L’attuale debolezza di Draghi, Scholz e Macron, peraltro, ha un effetto collaterale considerevole: rallenta quella riforma delle istituzioni europee di cui i tre leader volevano farsi portabandiera e che si sostanziava soprattutto nell’abbattimento del dogma dell’unanimitĆ  nei processi decisionali dell’Unione. Anche questo un esempio paradigmatico della lentezza burocratica dei sistemi democratici. Sia chiaro: nessuna invidia per i regimi o per le cosiddette Ā«democratureĀ». Ma solo la dimostrazione di quanto, nella crisi ucraina, il tempo che scorre giochi a vantaggio di Putin. Lui, per consenso o per costrizione, ne ha a disposizione tutto quello che vuole. I suoi antagonisti occidentali invece no. Sono tutti a scadenza. E per alcuni il countdown potrebbe essere giĆ  cominciato.

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