Erdogan ha infinocchiato Draghi come un pollo! Torna da Ankara a mani vuote, il Sultano ha fatto carne da porco dei nostri interessi

tratto dal blog di Nicola Porro

Martedì, Draghi ha tenuto un gran vertice con Erdogan, ad Ankara. L’esito è presto detto: un fallimento.

Tutto accade in conferenza stampa. Sui migranti uno schiaffo: lo scaricabarile sulla Grecia. Sulla Libia, poche fredde parole, seguite da un secondo schiaffo: l’annuncio, da parte del governo filo-turco di Tripoli, di una ulteriore riduzione dell’export di gas verso l’Italia.

Sul gas del Levante nemmeno una parola giacché, scrive il Corriere, i due “non sono riusciti a fare passi avanti neppure sul modo di citare Cipro nella dichiarazione finale del vertice”. Sul gas in generale, Erdogan ha accennato solo a quello del Mar Nero e all’Italia solo come fornitore di tubi.

Di contorno, un groppo di accordini settoriali, che fanno ridere a fronte delle reciproche strategiche divergenze. Insomma, Sua Competenza ha portato a casa niente.

Quanto al grano ucraino, egli ha attribuito allo “sforzo di mediazione” turco “un importantissimo valore strategico” … come ignorasse che Ankara può mediare in quanto è l’unica capitale Nato a non aver applicato alcuna sanzione alla Russia, né quelle di oggi, né quelle del 2014. Cioè, Sua Competenza si è pubblicamente umiliata e data del fesso.

E c’è di peggio perché, a fronte di tale niente, Erdogan pretenderebbe pure di entrare nel consorzio italo-franco-britannico FSAF SAMP/T (che sviluppa un sistema missilistico terra-aria d’avanguardia).

Ripetiamolo: non di comprare il sistema missilistico, ciò che sarebbe normale ed è precisamente ciò che Ankara ha fatto acquistando gli equivalenti sistemi russi S-400. Bensì di entrare in possesso della tecnologia, ciò che non è nell’interesse di Italia e Francia ed è pure suicida, considerando l’inaffidabilità dell’interlocutore: basti pensare all’estate del 2020, quando solo l’arrivo di una flotta francese impedì ad Erdogan di occupare isole greche.

Unico spunto di dignità del nostro, quando ha evitato di rispondere ad Erdogan sulla candidatura di Ankara a membro dell’Ue. Anzi, ha insistito sul rispetto dei diritti umani ed ha relegato la Turchia a “partner commerciale nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa”. Sin qui, i fatti.

Turchia dalla nostra parte?

Per interpretare tale miserando esito, conviene valutarne il contesto. Anzitutto quello inter-alleato essendo la Turchia parte della Nato e Draghi molto fedele a Biden. Così la Repubblica: “la genesi della visita è il viaggio di Draghi alla Casa Bianca, nel maggio scorso. Nello Studio Ovale il premier italiano riceve un’indicazione geopolitica chiara da Joe Biden: riannodare con Erdogan, stringere un patto Mediterraneo con il principale partner Nato dell’estremo fronte est dell’Alleanza”. E pure l’ingresso della Turchia nel consorzio FSAF SAMP/T, sarebbe frutto di una “mediazione americana”.

A dare il quadro d’insieme ci ha pensato il Financial Times, il 4 luglio con la penna del capo-redattore esteri Gideon Rachman. Sì, va bene, il sistema giudiziario turco non è degno di una democrazia, Erdogan rinchiude i propri oppositori politici esattamente come fa Putin, Erdogan e Putin “hanno una lunga e stretta relazione” fra loro. Ma l’amicizia della Turchia ci è indispensabile: “data l’importanza schiacciante per la Nato di contrastare la Russia, è più importante che mai tenere la Turchia dalla nostra parte”.

Ma perché indispensabile? Spiega il FT: “il Mar Nero è, per la Russia, la rotta chiave per il Mediterraneo e il resto del mondo … la Turchia controlla l’ingresso al mare”, quindi, “se la Turchia fosse espulsa dalla Nato … la Russia sarebbe alle porte del Mediterraneo”.

Il che sarebbe vero, se la Turchia davvero tenesse la Russia fuori dal Mediterraneo. Purtroppo, non è così. A sostegno della propria tesi, il FT porta un solo esempio: “tale ruolo critico [della Turchia, ndr] è stato sottolineato dalla detenzione da parte della Turchia di una nave russa che avrebbe trasportato grano rubato dall’Ucraina”.

Ma è poi vero? Non sembrerebbe, cioè è vero che una nave graniera russa è ferma, in attesa di poter sbarcare, alle bocche del porto turco sul Mar Nero dove era destinata, ma non risulta sequestrata.

Saggiamente il FT evita di menzionare che la Turchia ha bloccato il transito degli stretti alle navi da guerra dei Paesi belligeranti, Russia e Ucraina. Il che non sorprende, in quanto ciò è accaduto ai sensi della Convenzione di Montreux, che vincola Ankara ad agire così, del tutto a prescindere dalla sua appartenenza alla Nato. Così come la vincola a limitare l’ingresso nel Mar Nero alle navi da guerra di Paesi non rivieraschi, cioè proprio le grandi marine Nato.

Dando uno sguardo al gas, la Turchia è il terminale di due grandi gasdotti russi, che poi si proiettano verso Grecia e Bulgaria.

In effetti, la Turchia non tiene affatto la Russia fuori dal Mediterraneo.

Erdogan alleato inaffidabile

Si potrebbe obiettare che ciò non varrebbe in tempo di una guerra nella quale la Turchia sia parte belligerante: in quel caso, ai sensi della stessa Convenzione di Montreux, Ankara chiuderebbe gli stretti alle navi nemiche.

Ma pure di ciò lo FT finisce per dubitare. Lo fa parlando dell’opposizione di Erdogan all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, a meno che quelle non gli restituiscano 73 esuli (la BBC ha intervistato tre di loro, ed è una lettura assai istruttiva): ciò “crea dubbi su come potrebbe comportarsi la Turchia di fronte a crisi future” … cioè Erdogan non è un alleato affidabile, perché non entrerebbe comunque in guerra con la Russia. Dunque non sarebbe parte belligerante, dunque non chiuderebbe gli stretti alle navi russe.

Certo, pure se non fosse parte belligerante, lo stesso potrebbe essere simpatetica e, sempre ai sensi della stessa Convenzione di Montreux, dichiarare di sentirsi minacciata e chiudere gli stretti alle navi russe. Ma l’esatto contrario è accaduto a proposito delle sanzioni alla Russia … anche se lo FT evita accuratamente di menzionarlo.

In effetti, la Turchia non terrebbe affatto la Russia fuori dal Mediterraneo, nemmeno in caso Mosca entrasse in conflitto con la Nato. Ed il motivo è che la Nato non riesce a tenere la Turchia dalla propria parte.

Lo scambio

Siamo, dunque, di fronte ad un problema. Come risolverlo? Lo FT propone di procedere come con “un mercanteggiare nel Grand Bazaar di Istanbul”. E fa un esempio, questo:

“l’inflazione in Turchia è ora quasi dell’80 per cento … la valuta turca è scesa di oltre il 60 per cento negli ultimi due anni. Il Paese soffre di un enorme disavanzo delle partite correnti e si è detto insistentemente che alla fine avrà bisogno di un salvataggio del FMI. Sarebbe un’umiliazione per Erdogan … È qui che i suoi alleati della Nato potrebbero aiutare. In cambio di assistenza economica, la Turchia potrebbe dover assumere un atteggiamento più ragionevole circa l’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia”.

Noti il lettore che lo scambio proposto sarebbe utile alla Turchia, in quanto l’aiuto giungerebbe a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal FMI: ciò certamente sarebbe nell’interesse turco. In cambio del soddisfacimento di tale proprio particolare interesse nazionale, la Turchia offrirebbe la propria temporanea adesione all’interesse schiacciante di contrastare la Russia, in quanto “l’ammissione di Finlandia e Svezia alla Nato sarebbe un duro colpo per Putin”.

Gli interessi di Italia e Grecia sacrificati

I termini di tale scambio devono far riflettere. Perché sono tanti gli interessi dei quali Erdogan ha fatto carne da porco. Non solo l’interesse schiacciante di contrastare la Russia, ma pure gli interessi nazionali a scala regionale degli Stati membri mediterranei come l’Italia. Lo FT lo sa e ne elenca quattro, per spiegare che andranno ignorati:

(1) “a differenza della Russia, la Turchia non rappresenta una minaccia per la sicurezza del resto della Nato, ad eccezione forse della Grecia, che è allarmata dai muscoli mostrati da Erdogan nel Mar Egeo”. In altri termini, se pure la Turchia continuerà a violare lo spazio aereo e la ZEE greche, se pure dovesse prendersi qualche isola greca, Washington non si impiccerà. Biden lo ha appena dimostrato, affondando il gasdotto EastMed.

(2) Altra ammissione: “i turchi hanno una grande presenza militare all’interno della Siria … si oppongono all’alleanza tra la Russia e il regime di Assad”. In altri termini, se pure la Turchia dovesse continuare ad infrangere il principio della integrità territoriale in Siria, così come Putin lo infrange in Ucraina, per Washington non sarebbe un problema. Erdogan lo ha appena dimostrato, invadendo altre parti della Siria.

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(3) Erdogan andrebbe addirittura ringraziato per la sua gestione dei rifugiati siriani, “un atto umanitario che ha alleviato gran parte della pressione sull’Ue”. In altri termini, se pure la Turchia dovesse spedire un altro milione di migranti verso l’Europa, Washington non ne farà un dramma. Non appare un caso che il traffico di migranti sulla rotta balcanica sia in netto aumento.

(4) Quarta ammissione, questa volta implicita, il suo silenzio sulla Libia. In altri termini, se pure la Turchia dovesse continuare ad impedire la conclusione della guerra civile e la ripresa delle forniture energetiche verso l’Italia, Washington non insisterà.

Erdogan lo ha appena dimostrato, anzitutto prolungando la propria spedizione militare a Tripoli di altri 18 mesi; e poi negando (per l’ottava volta) alle navi Ue impegnate nel cosiddetto blocco navale (EuNavFor Med–Irini), il permesso di ispezionare una propria nave diretta da Istanbul al porto di Misurata.

D’altronde, è ben noto che, alla Nato, di ciò che accade nel Mediterraneo importi solo se a muoversi è la Russia. Così a febbraio Robert Kaplan:

“la Nato è sempre stata controllata da Stati Uniti e Regno Unito, è essenzialmente un’alleanza del centro e Nord Europa che richiede ai Paesi del Sud – come l’Italia e la Grecia – di allinearsi. È stata fondata per contrastare l’Urss e su questo terreno si esprime al meglio. Capisco le preoccupazioni dell’Italia per il Mediterraneo, la crisi libica, il Sahara e i profughi figli delle guerre e crisi mediorientali. Ma non sono temi nelle corde della Nato”.

E così la Repubblica: per la Nato, il Mediterraneo è, da sempre, “un catino da riempire di buone intenzioni”. Sì, è vero che al recente vertice di Madrid Stoltenberg si è un poco allargato ma, al dunque, “oltre agli annunci sono stati avviati alcuni tavoli di lavoro che, nel giro di pochi mesi, presenteranno una pianificazione”. Campa cavallo.

Un approccio non privo di logica. Perché, in effetti, è vero che l’esigenza della Grecia di non essere invasa dai militari turchi, il principio della integrità territoriale, l’esigenza dell’Europa di non essere sommersa da profughi siriani, l’esigenza dell’Italia di rifornirsi di energia dalla Libia: nessuna di esse è direttamente funzionale alla “importanza schiacciante per la Nato di contrastare la Russia”.

Solo, tale situazione andrebbe presentata per ciò che è: il sacrificio dei nostri interessi nazionali a scala regionale, a beneficio dei nostri interessi nazionali a scala globale e come tali schiaccianti.

E non abbellita con argomenti propagandistici come quelli offerti dall’ambasciatore Stefano Pontecorvo su la Repubblica, questi: “sul piano più ampio del Mediterraneo Ankara è l’alleato migliore che abbiamo”, “i nostri interessi, più che essere in contrasto permanente con quelli turchi, si intrecciano”.

In che senso? Beh, ovviamente nel senso della solita importanza schiacciante per la Nato di contrastare la Russia, così Pontecorvo: “l’azione turca a contrasto di Haftar e della penetrazione russa ci ha fatto molto comodo”, “la diga contro l’espansione dell’influenza russa sono, sul terreno, i turchi più ancora degli americani”. Laddove, va bene la diga ai Russi, ci mancherebbe, ma non si vede perché a pagarne l’intero prezzo dovremmo essere noi.

L’autonomia strategica di Ankara

Orbene, di fronte a tutto questo, Erdogan ha saputo muoversi con autonomia. Con le parole di Lucio Caracciolo: “è soggetto geopolitico pienamente sovrano … resta nell’Alleanza Atlantica, certo, ma a modo suo. A partire dai propri interessi, con le ambiguità tipiche degli attori che si vogliono irriducibili a strategie altrui”. In altri termini, Erdogan non conosce interessi schiaccianti.

Una conferma la ha fornita Nathalie Tocci, martedì su la Repubblica. Secondo lei, “la guerra in Ucraina ha rafforzato la centralità strategica della Turchia. Nelle prime settimane, Ankara si era profilata come mediatrice, facendo leva sui rapporti con Mosca e Kiev” … ma per avere tale ruolo bastava non imporre sanzioni alla Russia come ha fatto Ankara.

E poi “il ruolo della Turchia si è confermato nel contesto della Nato, visto che l’invito all’adesione di Finlandia e Svezia ha richiesto l’assenso turco” … ma per avere tale ruolo bastava opporsi all’adesione come ha fatto Ankara.

Come la Tocci, così il già citato ambasciatore Pontecorvo. Secondo lui, “la relativa libertà di manovra che Erdogan si è preso ne ha fatto un attore di rilievo alla ricerca di una composizione del conflitto, quando le condizioni saranno mature, al quale l’Europa dovrà guardare e probabilmente anche affidarsi” … ma tale libertà potevamo prendercela pure noi.

E poi, addirittura, l’adesione della Turchia alla Ue “potrebbe essere il prezzo che sarà chiesto all’Europa da un Erdogan mediatore di un accordo che ponga fine alle ostilità tra Russia e Ucraina” … cioè, per entrare in Europa basta disobbedire a Bruxelles e a Washington.

In altri termini, Ankara può fare carne da porco degli interessi italiani: non perché gode di alcun particolare vantaggio, ma perché non regala la propria adesione alla “importanza schiacciante per la Nato di contrastare la Russia”, bensì la fa pagare al prezzo del soddisfacimento dei propri interessi nazionali. Atteggiamento che Washington capisce benissimo ed accetta, come dimostra lo scambio proposto dallo FT.

L’irrilevanza strategica italiana

Al contrario, la irrilevanza strategica italiana è conseguenza di un atteggiamento opposto a quello turco: noi regaliamo la nostra adesione in nome dei nostri interessi nazionali a scala globale, considerandoli davvero schiaccianti cioè senza chiedere in cambio il soddisfacimento dei nostri interessi nazionali a scala regionale.

Basti pensare a Sua Competenza: egli aveva debuttato definendo Erdogan “un dittatore” e distinguendo fra la Grecia (con la quale l’Italia deve “collaborare”) e la Turchia (con la quale l’Italia deve solo “cooperare”).

Era l’8 aprile 2021, significativamente all’indomani della visita del nostro a Tripoli, al termine della quale egli aveva parlato della partnership italo-libica come di “una guida per il futuro nella piena sovranità della Libia” … cioè senza più i militari turchi fra i piedi. Poi, come sempre accade al Napoleone di Città della Pieve, la stretta adesione ai desiderata di Biden ha preso il sopravvento.

Ma si potrebbe guardare pure all’innocente fanciullo che siede alla Farnesina: la Turchia “è un Paese chiave, abbiamo molto apprezzato i tentativi di mediazione tra Russia e Ucraina”, è riuscito a dire. Mentre lui, Giggino, con Mosca non parla se non “tramite la nostra ambasciata” [sic].

Su Atlantico Quotidiano già abbiamo richiamato la clamorosa contraddizione fra il Di Maio che ieri apriva le porte di Tripoli ai turchi rifiutando di mandare armi con l’argomento che “non c’è soluzione militare, ma solo dialogo politico” … ed il Di Maio che oggi manda armi a Kiev. Evidentemente convinto che, per l’Italia, l’Ucraina sia più importante della Libia.

Fare come Erdogan

Si può rimediare? Lunedì abbiamo letto l’ottimo Stefano Graziosi quasi invocare: “sarebbe opportuno che gli Stati Uniti si attivassero per potenziare il fianco meridionale della Nato, conferendo in secondo luogo a Roma un ruolo di leadership in seno a questa cornice”.

Gli dobbiamo rispondere che, appunto, Washington è totalmente concentrata sulla “importanza schiacciante per la Nato di contrastare la Russia”. Sicché, fra un alleato che chiede niente ed uno che concede niente in cambio di niente, Washington accontenterà sempre il secondo. Quindi la Turchia prevarrà sempre e noi sempre soccomberemo.

Chi sostenesse il contrario, dovrebbe citare i casi nei quali noi abbiamo prevalso e la Turchia sia soccombuta. Noi non ne conosciamo alcuno.

Al contrario, per difendere i nostri interessi, dovremmo fare come Erdogan. Già lo scrivemmo, su Atlantico Quotidiano: “fossimo in Draghi, negozieremmo oggi con gli americani, scambiando il nostro sostegno alle sanzioni ed alla adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, con un ritiro turco dalla Libia. Ma non pare aria”. Infatti, non era aria: Draghi ha continuato a fare il supplice ed Erdogan si è preso tutta la posta.

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