Tonia Mastrobuoni per repubblica.it
Robert Habeck non è un indovino. Lo schema, ormai, è rodato. I russi stanno ricattando l’Europa riducendo progressivamente le forniture di gas. Hanno cominciato a metà giugno, poco prima del viaggio ufficiale di Olaf Scholz, Mario Draghi ed Emmanuel Macron a Kiev, tagliando il 40% di quelle che arrivano in Europa attraverso il gasdotto Nordstream1. E ieri il ministro dell’Economia tedesco ha espresso il timore che quei flussi potrebbero essere strozzati del tutto. Dall’11 luglio, ha scandito il leader Verde, “rischiamo un blocco totale di Nordstream 1”. Ventiquattr’ore dopo, la conferma: Gazprom ha comunicato che dall’11 al 21 luglio i rubinetti della pipeline resteranno chiusi “per riparazioni”.
Le motivazioni addotte da Mosca, i problemi tecnici emersi per la mancanza di una turbina canadese, non incantano nessuno. “Il metodo che abbiamo già visto in opera ci fa pensare che non sarebbe del tutto sorprendente” se poi a Mosca si trovasse una scusa “per dire che non si può più riavviare”. La situazione, ha confessato il ministro, “è molto tesa”.
Habeck ha messo spesso in guardia i tedeschi da un inverno difficile. Giovedì l’Agenzia delle reti ha annunciato che i depositi di stoccaggio del gas sono stati riempiti al 61%. Per non rischiare un ‘inverno dello scontento’ il ministro dell’Economia ha bisogno di elevare le riserve almeno al 90%. Un obiettivo che “potrebbe diventare molto problematico”, ha dichiarato.
Nelle scorse settimane il suo ministero aveva già proclamato lo stato di allerta sul metano. Anche se Habeck si è assicurato già maggiori forniture da Norvegia, Paesi Bassi o Algeria e ha accelerato sulla costruzione di due rigassificatori nel Mare del Nord, è talmente difficile sostituire il fabbisogno da metano che la Germania potrebbe essere costretta a riavviare le centrali a carbone. Secondo un recente studio dell’istituto economico Zew un razionamento del gas colpirebbe soprattutto l’industria della lavorazione dei metalli, quella chimica e le fabbriche della carta. Ma non è escluso che altri settori possano essere fortemente colpiti dalla fine delle forniture russe.
Intanto è finito nei guai il principale distributore di metano in Germania: Uniper ha chiesto ufficialmente aiuti statali per far fronte a una crisi dovuta “all’impennata dei prezzi e alle forniture ridotte dalla Russia dall’inizio dell’aggressione militare contro l’Ucraina”. Dal 16 giugno il colosso di Duesseldorf ha subito un taglio delle forniture dalla Russia del 40% ed è stata costretta a cercare onerose alternative sul mercato. Secondo il numero uno di Uniper, Klaus-Dieter Maubach, nei colloqui con il governo si stanno esplorando due ipotesi. La prima prevede crediti garantiti dallo Stato. Ma non è escluso che Berlino possa acquisire una quota di Uniper. Attualmente il colosso della distribuzione è controllato a maggioranza dall’azienda energetica finlandese Fortum.
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Habeck è anche alle prese con proteste crescenti nelle raffinerie della vecchia Germania est, da quando il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca ha incluso anche l’embargo progressivo sul petrolio. Mercoledì sera centinaia di cittadini e dipendenti della Pck di Schwedt hanno accolto il ministro con fischi e proteste. Vogliono rassicurazioni sulla riconversione del sito e sulla tutela dei posto del lavoro. E il ministro ha promesso aiuti finanziari, pur difendendo le sanzioni. L’azionista di maggioranza di Pck è la russa Rosneft.