“Caro Sallusti, sei il classico giornalista da riporto” La strepitosa risposta al leccapiedi Berlusconiano dopo le indegne parole pronunciate ieri da Giletti

tratto dalla pagina Facebook di Giorgio Bianchì

Sallusti è il classico giornalista da riporto, capace di passare dalle interviste sdraiate al primo ministro ucraino Azarov, per farsi raccontare per filo e per segno come fosse andata a Maidan dal punto di vista russo, dal difendere il suo padrone ai tempi del lettone di Putin e della nipote di Mubarak, agli insulti alla portavoce del Ministero degli Esteri della Federazione Russa, una volta cambiato il vento.
È una sorta di giornalista jukebox, infilili il gettone e lui suona sempre la musica desiderata dal padrone del momento.

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A NON È L’ARENA VA IN ONDA LA FINE DELL’IMPERO.

Stasera a “Non è l’Arena” di Myrta Merlino è andata in onda una pièce teatrale di quinta categoria, eppure a suo modo illuminante circa il periodo che stiamo vivendo: la fine di un impero.

Con un’invettiva infuocata degna di miglior causa, il direttore di Libero, Alessandro Sallusti, ha attaccato violentemente Massimo Giletti, in collegamento da Mosca, accusandolo di aver dato spazio “alla peggiore propaganda”. Ha definito il Cremlino “un palazzo di m….” (“il comunismo ha fatto i peggiori crimini”), ha definito la Zakharova “una cretina che non conosce la storia” e i giornalisti russi che accompagnavano Giletti, tra cui Vladimir Soloviev “dei c….ni”. Il tutto prima di annunciare platealmente che avrebbe rinunciato al compenso e abbandonato la trasmissione.

No, non vi proporremo il video. Ne girano già centinaia di versioni in rete, gli amanti della TV spazzatura non faticheranno a trovarlo. Vi proporremo piuttosto una riflessione. Il sistema mediatico italiano è così alla frutta che ha bisogno di inscenare una litigata in diretta pur di guadagnare qualche punto di share e tamponare l’irreversibile emorragia di ascolti che ormai da tempo lo affligge. Non hanno altra scelta, ormai. Dopo aver escluso dal dibattito qualsiasi vera forma di dissenso in nome della verità ufficiale negli ultimi due anni, dopo aver bandito giornalisti, opinionisti, professionisti, intellettuali, medici non allineati esponendoli al pubblico ludibrio, in qualche caso colpendoli con vere e proprie liste di proscrizione, oggi si accorgono che il loro pubblico è sempre più esiguo, sempre più scettico, sempre più annoiato dalla propaganda di regime in onda 24 ore su 24 a TV unificate. E che nemmeno questa basta a frenare la caduta di consenso del migliore dei migliori e del suo governo. Sono disperati. Sentono che il terreno sta vacillando sotto i loro piedi e diventano nervosi, collerici, aggressivi. Immancabile, naturalmente, il ricorso al turpiloquio. Si inventano un contraddittorio fittizio che essi per primi hanno voluto eliminare. Mandano in scena un dibattito organizzato, tutto interno a quel ristretto novero di portavoce selezionati di regime, per convincere quella minoranza che ancora li segue che da questa parte c’è democrazia e libertà di pensiero e dall’altra no.

Segnali inequivocabili di fine impero. Le persone disperate fanno cose disperate, recita un celebre motto. E più disperate sono, più diventano pericolose. Fanno paura. Non per quello che dicono o per quello che rappresentano. Ma perché sono disposte a tutto e a passare sopra tutto e tutti pur di rimandare la loro fine.

Da Giubbe Rosse, l’ottimo canale Telegram con il quale, a dispetto di quanto riportato dalle veline dei servizi, riprese dai quotidiani di regime, il sottoscritto non c’entra assolutamente nulla.

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  1. ci sono quotidiani in questo paese che esistono solo grazie il sussidio pubblico a loro dedicato, una sorta di reddito di cittadinanza per giornalisti incapaci altrimenti non in grado di stare sul mercato..

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