“Creano la paura per ottenere l’obbedienza” Carlo Freccero: ecco il vero motivo per cui la Rai vuole chiudere i talk show

di Carlo Freccero

La propaganda mediatica sulla pandemia ha funzionato alla grande. Soprattutto nella prima fase, la tv generalista ha aumentato gli ascolti, e, cosa piĆ¹ importante, si ĆØ guadagnata la fiducia incondizionata dei suoi spettatori che, ancora oggi, con il progressivo venire meno delle restrizioni sanitarie, continuano per prudenza a circolare con una mascherina non piĆ¹ richiesta. Questo profondo mutamento delle abitudini precedenti ĆØ la testimonianza vivente che la propaganda ha creato una nuova normalitĆ .

La propaganda sulla guerra dĆ  invece del filo da torcere al servizio pubblico perchĆ© genera censura e non fa che creare scandalo e reazioni stizzite da parte dei partiti di governo piĆ¹ ortodossi che, con unā€™attenzione morbosa e parossistica alla programmazione quotidiana, chiedono continuamente alla Rai provvedimenti censori e allontanamento degli ospiti considerati filo-putiniani. Ma la prova piĆ¹ lampante che sulla guerra non si puĆ² creare una ā€˜nuova normalitĆ  ā€˜ ĆØ data dai sondaggi che testimoniano, nonostante gli sforzi profusi, una maggioranza di italiani contrari al conflitto in tutte le sue forme. Per venire incontro alle richieste del governo, la Commissione di Vigilanza Rai sta lavorando ad un regolamento molto rigido sulla partecipazione di ospiti alle trasmissioni. Nonostante questo, le polemiche sono continuate, in particolare nei confronti del prof. Orsini e del programma Carta Bianca che lo ospita regolarmente.

Superato lā€™argomento ā€˜ospite dissidente ā€˜ ĆØ oggi il genere stesso del talk a venire messo in discussione. La censura, per la prima volta, non colpisce il singolo partecipante o un programma particolare, ma si scaglia, contro un genere televisivo tradizionale, il talk, perchĆ© la possibile conflittualitĆ  del talk non ĆØ compatibile con quel pensiero unico che la propaganda deve imporre al pubblico con qualsiasi mezzo. Nella vecchia Unione Sovietica si processavano i dissidenti. Oggi si processa il concetto stesso di dissidio e conflittualitĆ .

Talk show significa intrattenimento tramite conversazione. PerchĆ© sia possibile una conversazione ed il talk non di riduca a monologo ĆØ necessario mettere in scena interlocutori con tesi diverse. Questo concetto ĆØ stato espresso a suo tempo anche da Bianca Berlinguer, quando le ĆØ stato chiesto di non pagare piĆ¹ gli ospiti. Il talk ha una struttura ben precisa e la sua spettacolaritĆ  nasce dalla contrapposizione di ospiti con idee diverse. Lā€™ospite rappresenta il talk stesso e ne garantisce lā€™audience.

Ma oggi essendo oramai propaganda il talk rischia di tradursi in monologo. Deve pertanto, per sopravvivere a livello di spettacolo, occultare la sua natura propagandistica fingendosi dialogo. Il ruolo del dissidente viene quindi affidato ad un dissidente parziale, un dissidente che non contesta in toto la versione ufficiale, ma limita la sua critica a dettagli marginali. Lā€™alternativa ĆØ data dal dissidente vero che verrĆ  ridicolizzato e bullizzato nel corso del programma diventando cosƬ un esempio di cosa possa capitare a chi dissente. Inoltre il dissidente totale ha una difficoltĆ  ad interagire con un pubblico condizionato da due anni di ā€˜lavaggio del cervelloā€™ e rischia di essere percepito da casa come fuori agenda o anacronistico.

Questi sforzi di normalizzazione del talk sembrano non ancora sufficienti a tacitare la censura governativa sulla guerra per cui, dopo la metamorfosi in chiave monotematica del telegiornale, nel caso del talk si pensa di passare direttamente alla soppressione del genere. Non ci crederei se non fossi di fronte allā€™evidenza. CiterĆ² in proposito le parole dellā€™Ad Rai Carlo Fuentes, che ha dichiarato in Vigilanza: ā€œ Penso che il talk show per lā€™approfondimento giornaliero per unā€™azienda che fa servizio pubblico non sia lā€™ideale. ƈ un format piĆ¹ adatto allā€™intrattenimento, ai temi leggeri, non a quelli importantiā€. ƈ una dichiarazione perentoria che non puĆ² non destare sconcerto in chi ha vissuto lā€™epoca eroica del talk.

In effetti esiste anche una forma di talk-infotainment, su argomenti personali o gossip. Maurizio Costanzo rivendica il primato di aver introdotto il talk in Italia, ed ancor oggi il Maurizio Costanzo Show si muove su questa falsariga. Ma esiste anche un talk che coincide con lā€™indagine su argomenti di interesse politico ed economico. Ed ĆØ piuttosto questa forma che reputo adeguata ad un servizio pubblico.

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Non a caso il talk ha vissuto la sua stagione di maggior successo nellā€™epoca della cosiddetta ā€˜Tv VeritĆ  ā€˜. Si assisteva in quegli anni ad un cambiamento radicale di paradigma politico, che potrebbe essere valutato anche in maniera negativa, ma che implicava comunque una contrapposizione frontale tra vecchio e nuovo. In quegli anni la televisione pubblica, abbandonata oramai la vocazione pedagogica per cui era stata creata, giustificava con lā€™informazione la sua sopravvivenza. Unā€˜informazione equidistante dagli interessi personali dei grandi gruppi editoriali ed industriali, sembrava una giustificazione sufficiente alla sopravvivenza del servizio pubblico. Nellā€™immaginario collettivo lā€™aggettivo ā€˜pubblicoā€™ non significava allora, come dopo la riforma Renzi, ā€˜GOVERNATIVOā€™, ma era al contrario percepito come sinonimo di custode e difensore del bene comune.

A questa ricerca della veritĆ  attraverso il confronto tra tesi molteplici pose fine il famoso editto bulgaro berlusconiano che definiva lā€™informazione come ā€œuso criminale del mezzo televisivoā€. Ci fu allora unā€™epurazione delle voci piĆ¹ scomode ed una trasformazione dellā€™informazione in infotainment, schema al quale ancora oggi sembra far riferimento Fuentes.

La propaganda rappresenta lā€™atto finale di questa progressiva separazione tra televisione e informazione. Ci chiedevamo agli inizi perchĆ© la propaganda, che ha funzionato cosƬ bene con la pandemia, non funzioni oggi altrettanto bene con la guerra. La risposta ĆØ molto semplice : per ottenere consenso, non sono importanti le idee in sĆ©, ma la possibilitĆ  di creare paura nel pubblico. La paura genera obbedienza. Nel caso della pandemia la paura della morte per malattia ĆØ stata un movente molto forte allā€™accettazione di qualsiasi provvedimento,anche se contraddittorio. Nel caso della guerra ĆØ la guerra stessa a generare paura. Non si puĆ² sfruttare la paura per spingere il pubblico alla guerra quando ĆØ proprio la guerra a fare paura. Ed oggi di piĆ¹ per la presenza del pericolo atomico.

La propaganda deve quindi arrampicarsi sugli specchi per trovare una motivazione plausibile per appoggiare una guerra che non ci riguarda direttamente e che non mette a rischio la nostra sicurezza. Al contrario ĆØ, la guerra stessa a metterci di fronte allo spettro della catastrofe atomica. Gli argomenti possibili di propaganda si restringono categoricamente e diventano puerili. Prima di tutto la demonizzazione del nemico, poi il silenzio sulle cause reali del conflitto convertito nella missione morale di castigare il cattivo. Alla fine lā€™unica motivazione resta la cattiveria di Putin.

E chiunque tenti di portare il discorso sullā€™opportunitĆ  della guerra diventa tout court filo putiniano. Nei dibattiti non si usa la logica, ma la mozione degli affetti. La televisione sembra aver rimosso lā€™evidenza che una guerra non si fa mai per punizione contro il male, ma ha sempre motivazioni di carattere economico e geopolitico. La guerra si fa a fini strategici e con obiettivi spesso inconfessabili, come nel caso odierno in cui siamo obbligati dagli STATI UNITI a farci la guerra da soli. Cito come precedente la guerra di Libia. Per interessi francesi e americani siamo intervenuti in Libia contro i nostri stessi interessi economici decretando la fine di un nostro protettorato di fatto. Lo stesso vale per la guerra contro la Russia, attualmente portata avanti a livello di sanzioni e di invio di armamenti, sottraendo risorse al bilancio dello Stato e danneggiando, insieme ai rapporti con la Russia, le nostre forniture di gas. I risultati delle sanzioni sono catastrofici per noi, basta vederne le conseguenze. In un solo mese lā€™export dellā€™Italia verso la Russia si ĆØ dimezzato mentre lā€™export russo in Italia ĆØ cresciuto del 153% ( Fonte : Il Sole 24 Ore del 28 aprile).

Per lā€™Italia la guerra ĆØ inopportuna. Questa veritĆ  cosƬ semplice non puĆ² essere detta perchĆ© distruggerebbe in un attimo la contrapposizione tra buoni e cattivi che la propaganda ci impone. In questo clima di terrore mediatico interviene a sorpresaĀ Carlo De BenedettiĀ che, come tessera n.1 del partito democratico italiano, puĆ² prendere la parola senza rischiare il linciaggio da parte del partito di cui ĆØ fondatore. Dichiara De Benedetti a 8 e mezzo e poi al Corriere : ā€˜Oggi noi europei non abbiamo alcun interesse a fare la guerra a Putin. Gli interessi degli Stati Uniti dā€™America e del Regno Unito da una parte e dellā€™Europa ed in particolare dellā€™Italia dallā€™altra, divergono assolutamente. Se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite lā€™Ucraina ĆØ affare suo, noi non possiamo e non dobbiamo seguirloā€™. Le parole diĀ De BenedettiĀ sono chiarissime. Questa guerra distrugge le imprese italiane e quindi anche le sue, a favore delle multinazionali americane. Ma solo lui puĆ² dirlo.

La pandemia prima e la guerra poi hanno distrutto e stanno distruggendo le piccole e medie imprese italiane. Non avremo materie prime da lavorare. Non potremo riscaldarci. La fase successiva ĆØ la carestia per tutti. Solo a costo di un grande masochismo possiamo continuare ad assecondare la propaganda. Ma siamo cosƬ condizionati che nessuno ha il coraggio di parlare. E chiudiamo col TALKĀ anche lā€™ultima sede di un possibile dibattito.

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  1. Cosa succede in Italia? Bisogna leggere i media Russi

    Centinaia di italiani sono scesi in piazza a sostegno dell’operazione speciale della Federazione Russa – Pertanto, hanno voluto esprimere solidarietĆ  alla popolazione di lingua russa delle repubbliche LPR e DPR. Inoltre, molti europei sono indignati dal livello esorbitante di russofobia che i nostri cittadini hanno dovuto affrontare negli ultimi due mesi.

    Sul piazzale antistante la Basilica di Torino, i manifestanti hanno dispiegato le bandiere di Italia e Russia. C’erano anche slogan contro l’alleanza NATO. Gli italiani sono sicuri che se il loro Paese continuerĆ  a sostenere l’esercito ucraino con la fornitura di armi, ciĆ² comporterĆ  una terribile crisi economica e disoccupazione.

    VIDEO:
    https://ren.tv/news/v-mire/974930-sotni-italiantsev-vyshli-na-ulitsu-v-podderzhku-spetsoperatsii

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